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Se c'è una cosa che non accetto e mi infastidisce terribilmente è la pretenziosità. Non mi infastidisce l'incapacità, né l'eccesso. Non mi infastidisce chi ci prova e non ci riesce, chi ricerca una propria autorialità, chi sperimenta. Ma non accetto che qualcuno pretenda di essere un autore, di essere originale, di essere speciale a tutti i costi quando non ne ha la capacità. Quindi io, personalmente, di fronte ad un film come Horsehead di Romain Basset mi sono solo innervosito, andando avanti nella visione per inerzia, alla ricerca di uno spiraglio, di un'idea, di qualcosa che non dico salvasse ma almeno risollevasse un film vuoto, tutto estetica e pretenziosità, recitato da schifo (secondo i miei gusti) e con, a suo favore, solo due cose: il bellissimo lupo che accompagna la protagonista in alcune scene e l'attrice protagonista Lilly-Fleur Pointeaux, bellezza di razza.
Fin dalla sua infanzia, Jessica è stata perseguitata da incubi ricorrenti il cui significato le sfugge. Questo l'ha portata allo studio dei sogni e ad intraprendere un tipo particolare di cura (da filmscoop.it)
Credo che la trama di Horsehead conti poco o niente. Credo che il film di Basset sia un susseguirsi di scene al limite della visionarietà che inizialmente seguono un filo logico per poi perdersi in un labirinto di immagini, colori, volti e sangue, dialoghi inconcludenti come inconcludente si rivelerà essere il film una volta arrivati stremati al finale. Considerate questo: io non sono uno di quelli che vuole le spiegazioni ad ogni costo, non sono uno spettatore che necessita di una trama compatta o lineare (a volte non ho bisogno neanche di una trama per guardare un film) e non ho mai chiesto ad un film di essere narrativamente coerente. Amo sorprendermi ed essere sorpreso ma credo che l'aspetto prettamente visivo rivesta un ruolo di primo piano nella riuscita di un prodotto cinematografico. In altre parole un film può anche essere banale o scritto male, ma se è esteticamente bello poco importa. Al contrario un'idea geniale può salvare un film dal budget rosicato, con brutti effetti speciali o con una fotografia non all'altezza. Proprio per tutti questi motivi credo che il confine tra cinema e arte visiva sia estremamente labile. Ad esempio un opera (per citare uno dei miei film preferiti) come INLAND EMPIRE è assurda, senza né capo né coda (apparentemente?), privo di coordinate che permettano allo spettatore di orientarsi, ma è un'opera immensa, originale, complessa, che non ha paura di far schifo o di non essere compresa.
Horsehead è invece un film che in se non ha nulla di originale, con una fotografia ultra patinata, con una regia che ha come unico scopo quello di sorprendere e persino sconvolgere lo spettatore senza riuscirci una volta tanto è prevedibile. Un film che affronta il solito e ormai abusato tema del sogno ma che sembra volersi concentrare ad ogni costo sui lineamenti (e le tette) della bella Pointeaux esaltandoli persino quando dovrebbero apparire provati da febbre e follia, che tenta di emulare l'estetica di Tarsem Singh, lui sì un visionario, e che cromaticamente richiama il Suspiria di Dario Argento in versione però plasticosa, digitale, nulla a che vedere con la fotografia di Luciano Tovoli e i suoi splendidi colori in technicolor. Un film che trae ispirazione dalla famosa opera di Henry Fussli, Incubo (citata, tra l'altro, nelle prime sequenze oniriche) ma che non è in grado di rifletterne lo spessore. Insomma, un'ora e mezza di film non riesce a raggiungere la complessità e l'espressività di un dipinto, l'immagine in movimento perde il confronto con la staticità del capolavoro pittorico. Ovvio, certo, ma anche significativo poiché conferma l'inadeguatezza di un regista (anche sceneggiatore) ambizioso ma mai all'altezza.
Horsehead parte in maniera interessante, prendendo una direzione ben precisa, ma ad un certo punto deraglia. Più Jessica precipita in un vortice di sogni lucidi di cui solo inizialmente ha il controllo, più il confine tra sogno e realtà perde di significato. Il problema è che perde di significato anche lo scopo del film, viene tradita quell'idea che sembrava animare la pellicola. Non si tratta di essere enigmatici ma di non avere il controllo sulla propria opera. Il regista procede per accumulo, somma immagini, suggestioni, sparge indizi e crea attese. Ma poi non riesce più a gestire quella massa informe che ne è derivata. Pretende che lo spettatore si stupisca ma di stupefacente non c'è nulla tanto le immagini sono artificiose. Pretende di essere complesso ma diventa confusionario. affronta sotto trame che lentamente assumono importanza oscurando quella principale che viene infine dimenticata, messa da parte. Pretende di apparire autoriale ma non si capisce né cosa voglia dire né quale sia la ricerca estetica che conduce. Non c'è poetica o, se c'è, non si capisce quale sia. E alla fine le immagini si susseguono senza cognizione di causa e annoiano invece di sconvolgere. Fino ad un finale che sì, chiarisce molte cose, ma è senza senso: non c'è una connessione tra i vari passaggi, non c'è coerenza narrativa né coerenza visiva. C'è il nulla spacciato per bellezza, una caratteristica che ho già riscontrato in altri film francesi ma che qui raggiunge il suo grado massimo. Ed è un peccato perché molte intuizioni sarebbero state gestite meglio da qualcuno con più visione d'insieme e più esperienza. E magari meno pretenzioso.
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