Sono stato a Mosca per la prima volta nel 91. La situazione era irreale e nevicava fitto, nell'atmosfera di semioscurità latente di un novembre che preannunciava un inverno duro. La Moscova era ormai ghiacciata e le code che si formavano come per abitudine davanti ai negozi vuoti, nel lucore giallastro del primo pomeriggio, erano piene di volti stanchi e depressi, mentre le rare macchine giravano per il Kalzò lasciando una scia azzurrognola e puzzolente di carburante malato. L'atmosfera generale mi parve davvero cupa. Usciti dall'ufficio, percorrevamo a piedi le poche centinaia di metri che su un largo marciapiede ci portavano fino alla Gastiniza Pekin. La neve crocchiava soffice sotto le mie suole pesanti, mentre mi stringevo nella dublionka, con la shapka calata sulle orecchie, per trattenere il caldo dolciastro dell'ambiente da cui ero appena uscito.
Non facevo tempo a prendere freddo. Superata la grande piazza semideserta si aprivano, forzandole un po', dato che erano tutte sgangherate, le porte del vecchio hotel staliniano. Il più classico edificio del regime, uno dei sette di stile neoassiro, mutuati dalla visita newyorkese che il dittatore fece negli Stati Uniti e che scimmiottavano lo stile che tanto gli era piaciuto. Il Pekin era il più piccolo dei sette e forse il peggio riuscito con la sua decina di piani e le torri finali sproporzionate, decisamente il fratello minore anche rispetto all'Hotel Ukraina dall'altra parte del fiume, più arioso e composto. Ma la sensazione più tremenda ce l'avevi all'interno, superata la zona cuscinetto tra le porte che divideva la hall dalla piazza esterna cupa e coperta di neve. Le solite tristi incombenze al pesante bancone dove stanche addette ti facevano il favore di ritirarti i documenti vari e ti consegnavano di malavoglia il passport interno, poi te ne andavi verso gli ascensori , quasi tutti rotti per arrivare al tuo piano.
Qui, se avevi fortuna trovavi la dejurnaia, la capa del piano, il più delle volte addormentata su un divano di similpelle slabbrata e quando, incattivita dallo sgradito risveglio, ti consegnava la chiave, andavi, senza disturbarla più oltre, a cercarti la camera lungo gli enormi ed infiniti corridoi. Poi ti rinchiudevi nella stanza gigantesca. Tutto doveva essere grande e maestoso quando l'albergo era stato costruito; le dimensioni dovevano evidentemente risultare allo stesso tempo monito e minaccia per chi ne usufruiva o semplicemente le guardava; testimonianza di grandezza, ma anche di severa attenzione. Occhio a quello che fai che il grande fratello ti vede e ti giudica. In ogni momento. Questa era la sensazione. Inoltre si favoleggiava che dappertutto ci fossero microfoni e le leggende in tal senso si sprecavano, anche se nell'agonia finale del regime, credo che tutto fosse un po' lasciato a sé stesso e l'incuria generale avesse invaso anche questo aspetto della vita politica.
Al piano terra, in fondo c'era il ristorante, una misera e scarna interpretazione della cucina cinese, sempre scarsamente fornito anche di quei tre o quattro piatti che il deludente menù proponeva, su tovaglie macchiate e stazzonate. Era frequentato di malavoglia dai pochi clienti dell'hotel che al mattino, ci facevano una tristissima colazione a base di cetrioli e smietana, mentre un colossale (tutto doveva essere grande) samovar di acciaio troneggiava in un angolo della sala per il thé. Al sabato sera arrivavano gruppetti o coppie di ragazzi russi per festeggiare qualche compleanno, riempiendo qualche tavolo qua e là, i maschi con le giacchette lise e strette con una rosa in mano, le ragazze diafane e bellissime con le camicette di poliestere trasparenti e le scarpe col tacco che si erano portate nel sacchetto di plastica per cambiarsi gli stivali da neve con cui erano arrivate dalla fermata della metro poco lontana. Aspettavano a lungo dopo l'ordinazione ai camerieri svogliati, ma non sembrava loro importare. Poi si mangiavano con cura gli involtini primavera rinsecchiti e il pollo alle mandorle freddo, guardandosi negli occhi, inconsapevoli e forse disinteressati ai cambiamenti epocali e ai durissimi anni che stavano alle porte, al di là del grande ingresso, mentre la neve continuava a cadere stanca, a soffocare i pochi rumori della notte sovietica.
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
Notte allo SpiektrRosa salmoneColbacco di volpeHotel rossija
Magazine Cultura
Possono interessarti anche questi articoli :
-
A me la tua mente: il progetto mk ultra (prima parte)
Un piccolo documentario, anzi meglio una denuncia sulla manipolazione mentale made in Italy. Preparai questi video tempo addietro e poi li lasciai decantare... Leggere il seguito
Da Marta Saponaro
CULTURA, DIARIO PERSONALE, PARI OPPORTUNITÀ, PER LEI -
Sold out all’Arena di Verona la prima tappa italiana dei londinesi Mumford & Son...
“Love was kind, for a time/ Now just aches and it makes me blind/ This mirrors holds, my eyes too bright/ That I can’t see the others in my life/ We too young,... Leggere il seguito
Da Alessiamocci
CULTURA -
Top Ten Tuesday: Top Ten Books I've Read So Far In 2015
Top Ten Tuesday Top Ten Books I've Read So Far In 2015 Dopo una settimana di assenza, colpa connessione assente, ritorna Top Ten Tuesday con una bella... Leggere il seguito
Da Susi
CULTURA, LIBRI -
Recensione: Ti prego perdonami di Melissa Hill
"Ho nostalgia del tuo sorriso, della tua risata, del profumo della tua pelle, e mi fa impazzire non poterti stringere e dirti che ti amo. Leggere il seguito
Da Roryone
CULTURA, LIBRI -
Per Paul Krugman la Grecia non fallisce
di Giuseppe Leuzzi. Paul Krugman, economista premio Nobel, lo spiega stamani sul “New York Times”: la Grecia non fallisce. Non domani, se non paga il Fmi, né... Leggere il seguito
Da Rosebudgiornalismo
ATTUALITÀ, CULTURA, SOCIETÀ -
“Le avventure di Charlotte Doyle”, di Avi, Il Castoro; “Il piccolo capitano”,...
Pronti a salpare per due avventure che hanno il mare come scenario e la libertà per orizzonte?Anche per voi l’estate porta con sé la voglia di leggere storie... Leggere il seguito
Da Ilgiornaledeigiovanilettori
CULTURA, LETTERATURA PER RAGAZZI