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La trama (con parole mie): Sarah e sua figlia Elissa si sono appena trasferite da Chicago in una cittadina nel cuore della campagna, in una grande casa all'interno di una riserva naturale che le due si possono permettere soltanto in quanto confinante con la proprietà di una famiglia che quattro anni prima è stata al centro di una terribile tragedia: mentre il figlio maggiore, infatti, si trovava da una vecchia zia, i genitori furono massacrati nel cuore della notte dalla figlia minore Carrie Anne, scomparsa nei boschi a seguito del delitto.Ryan, questo il nome del ragazzo, è dunque tornato a vivere nella casa dei suoi cari con l'intenzione di ristrutturarla e venderla: Elissa si trova da subito molto più vicina a lui che non agli altri ragazzi del posto, nonostante la madre non sia felice della possibile nascita di un legame sentimentale tra i due.Quando, effettivamente, la situazione si evolve, Elissa si troverà a doversi confrontare con tutti i segreti che Ryan nasconde.
Lo ammetto, mi è davvero dispiaciuto scoprire che il soggetto alla base di questo film fosse firmato da Jonathan Mostow, che nonostante le porcate disseminate nel corso della sua carriera soprattutto recente - vedasi Terminator 3 - conserva un posto speciale nel cuore del sottoscritto dai tempi di Breakdown - La trappola, thriller ad orologeria che rispolverò qualche anno fa il mito eighties Kurt Russell.
Ed ancora di più che ne fossero protagoniste la mitica Elizabeth Shue - che riesce oggi ad avere le sue carte da giocare, forse più che ai tempi del primo Karate Kid - e l'ancor più mitica Jennifer Lawrence, fresca di Oscar per il bellissimo Il lato positivo nonchè protetta fordiana dai tempi del magnifico Winter's bone.
Questo principalmente perchè tutto quello che poteva essere fatto per rendere House at the end of the street un filmetto dalle atmosfere teen praticamente ininfluente rispetto alla vita dello spettatore medio è stato fatto, sprecando un'occasione che, seppur certo non degna di essere concretizzata in una pietra miliare, avrebbe perlomeno potuto portare a casa una figura discreta.
Invece il lavoro di Mark Tonderai ha tutti i limiti - e sono molti - di una pellicola senz'anima e spina dorsale girata secondo le mode del momento e che neppure una grande interprete può essere in grado di risollevare dal suo destino fatto di assoluta mediocrità - specie se affiancata da un protagonista scialbo, inespressivo ed assolutamente inutile -: partita come un horror in pieno Del Toro style fin dall'incipit e dai telefonatissimi titoli di testa, la pellicola finisce per indugiare fin troppo su una sequela di scene sostanzialmente inutili legate al difficile inserimento di Elissa nella nuova realtà scolastica - lei che è figlia di una rockstar, riflessiva e ben conscia del talento che il padre pare averle trasmesso - ed al complicato rapporto della ragazza con la madre Sarah - che ha il suo culmine nella pessima sequenza della cena cui viene invitato il misterioso vicino Ryan, oggetto della discordia tra le due donne - per poi virare improvvisamente sul thriller, lasciando spazio ad un crescendo finale molto poco credibile ma a suo modo quasi funzionale.
Ed è qui che viene a galla un altro pesante limite del lavoro di Tonderai: al contrario di molti esponenti del genere - specie se parliamo di horror -, infatti, la logica dello script non viene tradita da qualche escamotage di infimo livello, e le spiegazioni rispetto ai terribili eventi che coinvolgono Ryan e la sua famiglia prima e Sarah ed Elissa poi funzionano, regalando perfino un paio di twist almeno sulla carta niente male, eppure il risultato - parlando di messa in scena e ritmo, tensione e carica emotiva diretta allo spettatore - è decisamente scarsino, ed il fatto di trovarsi di fronte ad una visione assolutamente trascurabile batte perfino l'attrattiva della Lawrence, che passa generosamente in canotta tutta la parte conclusiva del film distraendo l'audience - almeno nella sua parte maschile - quanto basta per non decidere di optare per un bel sonno conciliante che rigeneri dalle fatiche di una qualsiasi settimana di lavoro.
Certo, non si tratta di uno di quei titoli da bottigliate selvagge ed incazzatura incontrollabile, quanto più di un prodotto sostanzialmente inutile che in altre mani avrebbe potuto al contrario sorprendere in positivo, di conseguenza non particolarmente dannoso: ma come di consueto resta l'interrogativo rispetto all'utilità che hanno alcuni film se non quella di riempire il già decisamente gonfio portafoglio dei produttori.
MrFord
"Purify the colours, purify my mind.
purify the colours, purify my mind,
and spread the ashes of the colours
over this heart of mine!"The Arcade fire - "Neighborhood #1"-
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