House of cards - Michael Dobbs

Creato il 18 aprile 2014 da La Stamberga Dei Lettori
"La politica richiede sacrificio. Il sacrificio degli altri, ovviamente. Per quanto un uomo possa ottenere, sacrificandosi per il suo paese, è comunque più conveniente lasciare che siano gli altri a farlo per primi. Il tempismo, come dice sempre mia moglie, è tutto". Questa è una delle massime di Francis Urquhart, per alcuni semplicemente FU, una specie di patrizio solitario, aristocratico molto vecchio stile, che ha passato l'età della maturità, dopo aver dedicato la propria vita alla politica, all'ombra di Westminster. È arrivato ai vertici del suo partito, pur incarnando un ruolo in apparenza lontano dai riflettori. È il più stretto consigliere del primo ministro e anche il custode dei segreti degli uomini che gli siedono accanto. Segreti molto personali, debolezze, fragilità, vizi: parole che nella carriera di un uomo politico rappresentano pericoli mortali, perché incompatibili con il ruolo di potere che riveste. Ed è questo materiale che Francis decide di sfruttare per raggiungere la sua vetta personale. Da dietro le quinte di una fase politica difficile e incerta, questo regista impeccabile riesce a muovere tutti, pedine di un gioco spietato, dove il ricatto diventa un raffinato intreccio narrativo. Di quale materia siano fatti potere e ambizione, quali siano i legami tra l'informazione e i destini politici di un paese, lo scoprirà Mattie Storin, tagliente cronista politica, decisa a stanare la verità su una crisi di governo in cui nulla sembra accadere per caso.

Recensione

Finalmente è arrivato anche in Italia il thriller politico che Michael Dobbs scrisse nel lontano 1989 come primo di una trilogia dedicata al re dei complotti Francis Urquhart, Chief Whip del partito conservatore dell'Inghiterra post-thatcheriana.
Se non siete ciechi e sordi non vi sarà sfuggito il martellante battage pubblicitario che annuncia l'arrivo sui canali satellitari della serie tv americana (ottima) con Kevin Spacey tratta dal romanzo, che è poi il motivo principale che ha spinto la Fazi a portare House of Cards nelle nostre librerie a questi vent'anni di distanza dalla pubblicazione originale, sebbene ci sia da ricordare che l'opera da subito riscosse un enorme successo fra il pubblico anglofono e ispirò una fortunata serie della BBC che riprendeva tutti e tre i romanzi della trilogia.

Lo stretto legame fra il libro di Dobbs e il sistema politico inglese è contemporaneamente fonte di fascino e probabile causa del ritardo con cui House of Cards è arrivato da noi. L'ambiguo Francis Urquhart si muove infatti nei palazzi del potere con un'agilità con cui il lettore italiano, non del tutto familiare con le dinamiche della democrazia inglese, fatica a stare al passo, almeno nei primi capitoli, anche se, personalmente, ho trovato che questa diversità rendesse il libro ancora più interessante. Lo stesso ruolo di Urquhart, Chief Whip, non ha un corrispettivo preciso nel nostro sistema politico e può essere grossolanamente tradotto come "capogruppo" (cosa diversa dal capo di gabinetto!), traduzione che però non spiega del tutto il ruolo fondamentale di Urquhart, incaricato di tenere i collegamenti tra il leader del partito e i suoi membri ma, soprattutto, di supervisionare la disciplina del partito, non solo nelle occasioni ufficiali come le votazioni ma anche in ogni situazione privata che può pregiudicare la maggioranza di governo.
In altra parole, grazie al suo ruolo, Urquhart è a conoscenza di tutti i segreti, gli errori e le debolezze dei compagni di partito e di ogni membro del governo e pur rivestendo un ruolo di secondo piano ha accesso ha tutte le stanze del potere. Abituato a muoversi nell'ombra e ad agire con discrezione, l'uomo trova un modo del tutto nuovo per mettere a frutto i suoi talenti quando, stanco di essere sempre relegato a funzioni secondarie decide di prendersi la più grande delle rivincite e ordisce una complessa trama di rivelazioni e ricatti che dovrebbe portarlo addirittura alla poltrona di Primo Ministro.

Michael Dobbs è l'uomo ideale per un racconto di questo tipo essendo stato consigliere personale di ben due primi ministri conservatori, la Lady di Ferro Margareth Thatcher e il suo pallido successore John Major. In effetti furono il ruolo politico dell'autore e il perfetto tempismo del romanzo, uscito proprio al termine dell'era thatcheriana, ad attirare maggiormente l'attenzione dei lettori, convinti che avrebbero trovato in House of Cards un elenco dei retroscena più torbidi del loro governo. Sebbene Dobbs non faccia nomi e cognomi precisi, è più che evidente che l'autore sa di cosa parla quando espone il complesso meccanismo di rivalità, alleanze e precari equilibri che mantengono in piedi il paese.

Quello che ne emerge è un mondo spietato, in cui le pugnalate alle spalle sono all'ordine del giorno e il peso dell'opinione pubblica è in continuo aumento, grazie al crescente strapotere dei mezzi di informazione che più che inseguire la verità sembrano interessati solo a trovare la storia che assicura le maggiori vendite e a sfruttarla fino all'esaurimento.

L'impressione che ne deriva (ma forse al giorno d'oggi ci eravamo già un po' arrivati) è che che le persone veramente capaci sono quelle che si muovono nell'ombra e rimangono sempre in secondo piano, come Urquhart, mentre coloro che emergono siano i meno dotati e i più manovrabili. I personaggi proposti da Dobbs sono più che altro dei tipi: la giovane giornalista determinata, il politco amizioso e calcolatore, il primo ministro debole e influenzabile, i parlamentari con una serie di imbarazzanti vizietti da tener nascosti. Si tratta di caratterizzazioni essenziali ma adatte a questo tipo di thriller dove non si richiede un accurato approfondimento piscologico ma una trama ben congeniata, coinvolgente e incalzante, cosa che all'autore riesce decisamente bene.

In effetti, è proprio quando Dobbs tenta di dare un tocco personale ai suoi personaggi che mostra i suoi limiti come narratore, scegliendo situazioni scontate e banalizzate. In questo senso i suoi sforzi si concentrano sulla giornalista Mattie Storin che con uno sguardo un po' maschilista egli dipinge come lanciatissima nella carriera ma tormentata dal gelo che l'avere un "letto vuoto" porta nella sua vita.
Quando Dobbs cerca di tratteggiare un passato pseudo-drammatico per la povera Mattie, segnata dalla scelta tra carriera e lavoro, lo fa con tocco dozzinale e un po' risibile. In effetti nella gestione delle figure femminili il romanzo mostra chiaramente di essere stato scritto vent'anni fa da un uomo politico di mezz'età: le poche donne presenti sono tutte bellissime, dalle forme provocanti, leali e lacrimose e con una strana tendenza a trovarsi in situazioni imbarazzanti in cui le loro camicette si slacciano per sbaglio in modo del tutto improbabile, mostrando i "seni perfetti".

Per fortuna si tratta di brevi intermezzi all'interno di un romanzo assolutamente coinvolgente che merita la definizione di thriller sebbene l'azione sia data esclusivamente dalle macchinazioni del protagonista, che mette in moto un meccanismo in grado di far crollare l'intero castello di carte che tiene in piedi il più potente partito inglese. Per quanto non un personaggio positivo, Urquhart è una figura affascinante, che suscita nel lettore un misto di ammirazione e repulsione difficile da spiegare.
Sicuramente mi procurerò anche il secondo e terzo volume della trilogia che lo vede protagonista.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: House of cards
  • Titolo: House of cards
  • Autore: Michael Dobbs
  • Autore: S. Tummolini
  • Editore: Fazi
  • Data di Pubblicazione: 2014
  • ISBN-13: 9788876255182
  • Pagine: 446
  • Formato - Prezzo: Rilegato- 14.90 Euro

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