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In Nuova Zelanda evidentemente insegnano il gore a scuola, e Gerard Johnstone ha studiato bene
Mi dimentico sempre che gli anni passano e che Peter Jackson purtroppo ha lasciato la Nuova Zelanda, ma a guardare un horror proveniente da così lontano mi sembra che non possa avere altra forma e intenzioni se non quelle di un Bad Tasteo di uno Splatters. Forse anche Gerard Johnstone Gerard Johnstone la pensa un po’ così, altro motivo altrimenti non trovo delle improvvise scudisciate gore che si schiantano nel suo Housebond, che in realtà è grossomodo una commedia: è come se ci fosse di mezzo una qualche faccenda genetica il cui funzionamento va ben oltre la concezione di un povero occidentale, che può giusto farsi riparo di fortuna contro queste impreviste secchiate di intestini.
Johnstone viene da una sitcom, e si vede: l’ossatura di Housebond è fatta di dialoghi brillanti, botta e risposta rapidi e ispirati, situazioni ben precise dove inquadrare la comicità e sviluppare la battuta, che è sempre in circolazione e spesso clamorosa per mezzo di personaggi di cui si nota chiaramente lo stampo televisivo ma senza che ciò disturbi la naturalezza di un film pazzerello e molto simpatico.
Come spesso accade nelle opere dalla doppia diagnosi, Housebond non ha equilibrio nell’alternare l’horror e la commedia, ma ciò non è per forza una male: Johnstone ne privilegia sin da subito la parte ironica e lascia che domini la pellicola per gran parte della sua durata, rilegando il perturbante e il vago soprannaturale a ricamarne i momenti più cupi e sinistri. È un’ottima scelta, probabilmente la migliore per la trama sviluppata, e fa piacere trovare già questa maturità in un autore all’esordio cinematografico, perché se nei primi istanti si possono incontrare tempi comici fragorosi (la rapina al bancomat contiene due scene esilaranti che mettono subito di buon umore), la commedia segue quasi con amicizia la noia di Kylie, costretta a scontare la libertà vigilata nella casa dei genitori, senza mai dipendere da una forzatura horror in cui si ritrova ingabbiato il film. Il rapporto tra Kylie e la madre è addirittura sfavillante ed è ottimo esempio della bontà comica di Johnstone, il reciproco odio-affetto è guidato da un dialogo vivacissimo e a tratti incontenibile: offese, perdoni, spiegazioni, suppliche e quant’altro vengono mitragliate con una genuinità familiare chiaramente fittizia ma meravigliosamente naturale, e con questo traino Housebond non ha alcuna sosta.
Sicuramente troppo lungo e poco pratico nello sciogliere i nodi di una comunque piacevolissima storia dall’accento black, con omicidi dimenticati, assassini ancora liberi, passaggi segreti, ospedali psichiatrici chiusi e incomprensibili apparizioni, Housebond pianta una manciata di paletti a cui si fissa con buon giudizio: in questa maniera dipingere la monotonia di Kylie diventa molla per indagare sull’omicidio della giovane Lizzy, mentre la madre delira di fantasmi armati di lenzuola e un agente di polizia le crede senza fare domande e mettendo telecamere ovunque.
Non sempre il gioco funziona, ci sono porzioni in cui la commedia prende un sopravvento sbagliato e privo di fondamenta, lo sbandamento lascia uno strano WTF nel vedere alcuni personaggi comportarsi in maniera forse non proprio naturale, ma Johnstone è bravo a fermarsi e a ripartire prima di combinare qualche disastro, si rimette in carreggiata con discreta spontaneità e ridisegna scenari weird dove convivono lerci redneck e strani inventori, con un bel twist finale al momento della resa dei conti, gradevole più per l’ottima costruzione logica che per l’effettiva sorpresa.
E in mezzo a tutto questo spuntano barbare esplosioni di violenza, momenti di imprevedibile sanguinamento con ferite che vomitano fiotti rossi, teste che scoppiano e grattugie usate come armi, sono cambi di rotta belli netti considerando la gentilezza ironica della pellicola e non riesco a capire se ci stiano bene o appaiano forse un po’ fuori luogo perché, mentre alcune parentesi mostrano un umorismo nerissimo e spietato, altre cadono in una demenzialità evitabile, ma in generale non disturbano mai e contribuiscono a un divertimento matto e allo stesso tempo gradevolmente sobrio. Una horror comedy da mettere in lista e un regista da tenere d’occhio.
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