how fashion works

Creato il 28 novembre 2011 da Hermes

Qualche giorno fa navigando su internet mi sono imbattuto su un simpatico post di un simpatico blog (hapsical) su come funziona il mondo della moda. Il primo dei vari capitoli dedicati a questo tema era per me scritto in arabo, in compenso questa seconda parte che, con somma bontà, ho deciso di tradurvi in Italiano, è un po' più facile. Le cose dette sono interessanti, alcune un po' scontate.
Buona lettura.
Si ringrazzia per la traduzzione Luca Giurato.
Hello everyone! In these days, surfing on the net, I fond a nice post on a nice blog (hapsical): how fashion works. Actually there are more posts, but I particulary enjoyed the second one, so here you are the link for the original version, in English:
hapsical-how fashion works part II
la moda altro non è che la combinazione di creatività e commercialità (ecco lo zampino di Giurato!), e i designer devono rispettare rigide tabelle di marca: ogni sei mesi devono presentare ai compratori (i famosi buyers - proprietari di negozi che assortiscono un brand) e alla stampa una collezione che andrà in commercio circa sei mesi dopo-se non prima.Quindi a settembre si fanno sfilare le collezioni per la prossima PE, che cominciano ad essere disponibili da fine gennaio (incredibile ma vero), mentre quelli invernali potranno essere comprato da luglio (avete mai notato le vetrine agostane di Montenapo impellicciate?). Ma naturalmente due collezioni sono troppo poche-hanno un giorno pensato gli stilisti-sforniamone un altro po'! Ecco così l' haute couture, con pezzi su misura per il cliente come la sartoria maschile, le "capsule collections" speciali che ogni tanto vengono fuori e le resort. Se pensavate che disegnare la roba che vi piace fosse un lavoro rilassante, beh, vi sbagliavate di grosso. La creazione di tante collezioni crea una non indifferente pressione sui designer, che sono infatti quegli strani personaggi che vediamo. La più recente discussione in tal senso è venuta fuori con Galliano e rilanciata poi dallo stilista franco-tunisino Azzedine Alaia:"Non conosco molto la faccenda, però so che è molto triste. Come ho detto tante volte, il mondo della moda può essere disturbante. Il sistema imposto a Galliano gli chiedeva di fare 4 collezioni per la sua linea, 4 per la maison Dior, 4 da uomo e 4 da donna, in un solo anno. Ma come si fa! Avere un'idea brillante ogni 12 mesi è già un miracolo! Questa non è l'essenza della moda. Come fai a essere creativi con una tale richiesta? Per i giovani è difficile. Per i vecchi, poi, ci sono solo più drink e più droghe. Il sistema non è giusto. Occorre guardare il lavoro da un altro angolo, c'è troppo stress, troppe collezioni, troppa pressione. Per fare un lavoro creativo, ci vuole tempo. Io lavoro 24 ore al giorno. Pensate che ho una casa in Tunisia in cui non sono mai andato"Se il problema è la casa, mi offro volontario per risolverlo: Tunisia aspettami!Ah, povero Azzedine, con tutte queste donnacce moleste!Ma, essendo la moda legata al commercio, non cambierà mai (oggi mi sento in un' originale vena depressivo-nostalgica). I designer trovano ispirazioni nei più svariati modi: Galliano in giro per il mondo, la famosissima (?) Margaret Howell semplicemente da un pezzo di stoffa o una sedia modernista. Gabriele Colangelo dall' arte moderna, Balenciaga dall'infanzia traumatizzata di Guesquiere (ok, scherzavo).
A questo punto arriva la notizia bomba: il fatto che le mode nella moda (sognavo da anni di dirlo) non sono coincidenze (mappa che verità rivelata! Certo che questo blogger deve essere un furbone!).E, men che meno, gli stilisti possiedono poteri telepatici che trasmettono il colore della stagione, come giallo-melamarcia, verde-rancido, grigio muffa...Ci sono piuttosto delle società che si occupano di analizzare i futuri trend e i risultati delle ricerche vengono venduti alle grandi maison. Le osservazioni sono basate su musica, filmografia, arte, street style, tendenze attuali...Diciamo che è un po' come il rating di uno stato: S&P (per dire una sigla inventata) dice allo stato Fr**cia (per dire uno stato inventato) che gli potrebbe abbassare il rating. Il giorno dopo lo spread di quello stato sale, allora sarà più possibile che venga davvero declassato: un serpente che si morde la coda. Così con questi trend-report: quando un tot di stilisti li prende per buoni, poi allora si avverano in passerella e da lì ai negozi di pronto moda e sulla vita reale, quale con più (ahimè il viola, che nell'interland napoletano è il colore più "in" da qualche era geologica) quale con meno (qualcuno si ricorda il color blocking?) fortuna.Questo è necessario all' aspetto più strettamente commerciale della moda... e influenza più di quanto si creda (fantastico l'esempio del Diavolo veste Prada sul maglioncino CERULEO e NON CERTO AZZURRO!).


"Oh, ma certo, ho capito: tu pensi che questo non abbia nulla a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo, e sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent se non sbaglio a proporre delle giacche militari color ceruleo. [...] E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l'hai pescato nel cesto delle occasioni. Tuttavia quell'azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori dalle proposte della moda quindi in effetti indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti... in mezzo a una pila di roba..."
Alcuni paraculivento di stilisti addirittura modificano le loro collezioni all'ultimo per carpire al meglio le probabili mode lanciate nelle fashion week in corso. Certo la moda è autoreferenziale. I designer vengono spesso ispirati da altre loro creazioni, addirittura alcune volte ripescate addietro nel tempo: non si parla quasi mai di plagio (ok, forse in alcuni casi sì), ma di citazione.
Versace, anni '80 uomo, e Chloè 2008, AI donna: una citazione.
Il rapporto simbiotico in alcuni casi si rompe. Recentemente Louboutin ha citato YSL per aver realizzato una scarpa con suola rossa. Ora, dalle foto dell' oggetto in questione, si evincono le seguenti verità:
1) Che 'sta famosa suola rossa ha scassato le balle. é carina solo da uomo, perchè gioca in un effetto vedo-non vedo, ma poi tanto si rovina subito.
2) che di chi sa che suola rossa = Louboutin, una buona parte riconosce le YSL

Comunque a Monsieur L. è andata male, e oltre al danno la beffa: avete notate il recente fiorire di suole rosse? Del resto, ora che è consentito... Ma le storie sulle copie di moda sono ben più scabrose...Anche, come ci ricordava la nostra stronza Anna Wintour  cara Miranda Priestley nel film, le grandi case di Fast fashion copiano dai designer, spesso in modo più spudorato (modello "ti piace vincere facile. ponzi ponzi parapò). Queste inoltre hanno un sistema di distribuzione moooolto più veloce (pezzi progettati e in negozio nel giro di un mese) di quello già isterico della moda più alta, che però è inevitabilmente ancorato dalla produzione più accurata e dalla continua ricerca.E qui nasce l'amletico dubbio: ma visto che un buon 50% di quello che passa in sfilata in un mese lo offre identico Zara al 10% del prezzo, ha ancora un senso comprare dai grandi brand? Credo che la mia risposta sia abbastanza chiara, comunque prima o poi ne parlerò in una feroce critica  riflessione costruttiva sul fast fashion. Comunque il sistema esiste ed è difficile da contrastare: la qualità dei capi però rimane differente.

Voci di corridoio che mi paiono poco credibili dicono che i grandi brand diano licenza, in cambio di soldoni, a zara et similaria per copiare tranquillamente i loro disegni. Io ci credo poco: anche se volessero fermare il fenomeno, vi immaginate Burberry che cita, davanti a un giudice profano di moda,HM perchè gli ha copiato una giacca a righe?Ma lasciamo stare questa interessante discussione. Una volta giunta l'ispirazione, lo stilista crea la collezione in taglie standard (moooolto piccole). I differenti designer hanno vari modi di lavoro: c'è l'artista taglia e cuci, come un sarto (ad esempio Azzedine Alaia stesso), c'è quello che si limita allo schizzo, oltre ad un lavoro con i materiali. C'è poi chi presta il nome e uno stile, come la signora Beckham, la cui collezione è realizzata da un ignoto team, e sarà così anche per Kay West che ha recentemente debuttato (ahinoi, anzi no, ben gli sta a Sarkò) a Parigi.E non sono gli unici protagonisti di questo carosello: ci sono le "muse" degli stilisti, i giornalisti di moda, i blogger... Dopo la sfilata i capi vengono visualizzati da vicino negli showroom dei brand, dove poi i proprietari dei negozi possono decidere quali oggetti acquistare. Capita anche che negozi dello stesso brand non abbiano lo stesso assortimento. I maggiori brand hanno i loro propri showroom (ho notato che molti sono a Milano, anche per marche che sfilano a Parigi, ndt) , altri semplicemente affittano uno spazio o delegano a un' agenzia terza.


Alcuni privilegiati clienti privati, ricconi che comprano in scala, possono comprare direttamente allo showroom, immagino usufruendo dei prezzi dei buyer: proprio come nei nostri sogni più segreti.
Naturalmente nello showroom sono mostrati anche pezzi più basici, troppo poco interessanti per una sfilata, ma che commercialmente fanno molto: vuoi per l'essenzialità, ergo un maggior raggio di clienti, vuoi per il prezzi, da "entry pieces". Alcune volte sono fatti in paesi meno "amati" (leggasi sud-est asiatico, Cina...), perchè non richiedono skill particolari di manifattura e sono anche destinati a un pubblico meno interessato al "made in...". Questi generano introiti del 50% del totale delle case (a cui aggiungere gli accessori, per poi passare ai pezzi da sfilata, pochi ma costosi). I defilè spesso servono maggiormente a catturare attenzione mediatica.
Infatti i buyer sono riluttanti a selezionare i più strambi outfit delle sfilate (che spesso finiscono solo nei maggiori negozi -o in quelli monomarca-delle maggiori città). Il fenomeno però si sta modificando grazie a internet, che ha dato agli amanti della moda una maniera per avvicinarsi agli show, togliendo il filtro-buyer. Un sito come Moda Operandi addirittura permette i preordini di oggetti visti in sfilata, così come ha cominciato a fare Burberry anche online. Certo il GAP runway-negozio rimane. Alcuni oggetti visti in sfilata sono mandati in vendita "annacquati", in versioni più commercialmente "facili". Una vera e propria esperienza frustrante (? mah?)...
Alcune volte è lo stesso marchio che, volendo crearsi un'aura di esclusività, limita la produzione di un oggetto, oppure non riesce a soddisfare la richiesta: il caso è della Birkin. Da LV succede qualcosa di ben più divertente: ogni cliente può, stando a sentire questo blogger, comprare solo fino a un determinato numero di oggetti in un determinato tempo (io, nel bene e nel male, non ho di questi problemi), per evitare che si crei una rivendita in Asia di articoli Vuitton comprati in Europa, dove il prezzo è considerevolmente minore.  Una giappa entustiasta che non sa che i suoi acquisti avranno presto un limite...
Ed ecco perchè, fuori dal flagship sugli Cahmps élysèes, potrebbe capitarvi di essere bloccati da un giapponese che vi prega di entrare e comprarvi qualcosa. La polizia di Parigi è dovuta intervenire per tentare di arginare i criminali che, sfruttando la fesseria  proverbiale cortesia nipponica, hanno preso le carte di credito per poi scappare.
I prodotti, una volta che la loro annosa selezione è finita, vengono spediti ai negozi. Loro Piana addirittura non affida il trasporto a terzi, per assicurarsi delle condizioni perfette in cui avviene, ma in generale molti negozi possono far ritornare indietro i capi se arrivano in ritardo o difettati, in cambio di un rimborso. Alcune volte si possono anche mandare indietro gli stock invenduti, che sono poi rimborsati e presumibilmente mandati agli outlet. Naturalmente queste clausole devono essere introdotte dal commerciante, che deve essere scaltro per non perdere i suoi soldi e per assicurarsi che la qualità degli oggetti del designer sia la stessa vista nello showroom.
La produzione dei beni di lusso e prodotti di moda cambia anche a seconda del tipo del brand: quelli più classici sono legati alla qualità e hanno spesso fabbriche gestite da loro: John Lobb, Loro Piana, Brunello Cucinelli, altri semplicemente caricano lo stesso prezzo per prodotti fatti in parti del mondo in cui il lavoro è meno costoso.
Qui il blogger fa una sorta di top-three dei made in, che io condivido sì e no e rielaboro personalmente:
1) Made in Italy, France, UK, USA (mai, dico mai visto, ma esiste), Japan
2) Portugal (Un paese europeo non ricco, ma neanche povero come la Romania)
3) Nord Africa (Sarà l'immagine stereotipata del nord Africa, ma mi immagino che un prodotto che viene da lì-come il mio montone Burberry-sia fatto artigianalmente- credo forse ancora non ci siano le fabbriche?- con tanto amore) ed est Europa (per la vicinanza culturale, immagino)
4) Resto del mondo, suppergiù.
Bisogna poi dire che la qualità non è necessariamente legata al paese di nascita, ma anche ad altri fattori (es.: materiali). Alcune aziende sperimentano molto: Lanvin fa le sue tshirt ricamate in India, appunto nota per i ricami, Prada ha fatto una collezione di "made in" sparsa in giro per il mondo, a seconda delle competenze (jeans giapponese, ricami indiani, kilt addirittura, naturalmente scozzesi!).

Franco Moschino anche parodiò, con parecchio anticipo, il Made in Italy, col suo "maid in Italy". Si rimane però lo stesso sorpresi a scoprire che le borse di Mulberry, i vestiti di Givenchy (e credo anche di Cèline, così come alcune loro cabas) sono Made in China. Alcuni brand (leggasi D&G, e poi si lamentano pure del fisco), producono ad est, aggiungono un bottone in Italia e fanno la furbata: ecco a voi il made in italy. Il fatto che ora sia proibito non significa che la pratica sia necessariamente finita...

Poi c'è la storia delle borse che vengono fatte nella stessa fabbrica che le fa per un brand, stesso modello ma vendute a molto meno (sapevate niente?). A queste non credo molto, in primis perchè non sarebbe un affare così conveniente, in secundis perchè l'unica che ho visto era una cagata palesemente neanche lontanamente (scusatemi gli avverbi) simile a una vera Gucci.

Se poi un brand vuole produrre qualcosa tecnicamente più difficile, che richiede un'esperienza settoriale specifica, come profumi e occhiali, firma accordi di licenza con grandi distributori, come Luxottica, gigante dell'ottica italiana e mondiale. I prodotti in licenza sono di solito più economici (a parte gli occhiali di loro Piana regalati con le patatine a 800 euro...). Ci si chiede allora: ma non danneggiano l'immagine del brand? No, in primis perchè più discreti (inoltre gli occhiali firmati già costano una cifra relativamente alta) e poi, come abbiamo già detto, il commercio regna sovrano, come è giusto che sia (finchè non ti prendono per il culo per far soldi, ad esempio spacciando per italiano un prodotto che tale non è... vero, D&G?)
Ci avviciniamo alla conclusione. Un'intera giornata passata a tradurre questa bibbia e a spiegarla, immagino che il post (che neanche ricontrollerò) sarà un' accozzaglia-spero simpatica-di deliri personali e non...
Seguono poche ultime considerazioni, infatti, e sarà divertente confortare le opinioni tra il blogger-famoso-nel-mondo e il povero sfigato (io):
1) La risposta illuminante al fatto che i commessi dei negozi di lusso non ci degnino di troppa attenzione: perchè sono abituati a trattare con vip e ricconi secondo lui; secondo me semplicemente perchè è una tattica commerciale, che stravince rispetto al commesso opprimente dei negozi più semplici. Questa tattica viene dai seguenti fattori, come analizzato in anni di scienza pura:
1-1) Perchè loro non sono accannati
1-2) Perchè sanno che chi vuole comprare qualcosa entra già convinto, chi entra solo per vedere si lascia in pace
Questo non significa che siano giustificati i commessi snob che credono, solo perchè lavorano da Gucci, di essere fichissimi.
2) Una piccola riflessione sulle aree VIP e i trattamenti speciali che i migliori clienti hanno: serviti all' orario di chiusura, riveriti, con personal shopper, acquisti che arrivano a casa e in alcuni casi (dei negozi Hermès, il negozio matches a Londra) aree riservate a loro.

Infine, e, non ci credo, poi avremo finito, si parla dei saldi e delle tantissime promozioni che abbassano i prezzi: stampa & amici (in questi giorni a Milano), clienti fedeli (Burberry, eccomi! eccomi!) e così via...
Disfarsi dei pezzi tutto sommato, anche a metà prezzo, rimane un guadagno, visti gli alti margini degli oggetti. Alcune case, poi, distruggono tutto l'invenduto: Hermès lo fa con quello che non riesce a mandare in saldo. Saldi che, per ragioni di esclusività, non si tengono nei negozi ma in locali affittati ad hoc, a Parigi e in una città a continente, che cambia (quando sarà il turno di Roma?).
Siti web come The Outnet e Gilt, o Yoox, sono stati pionieri del saldo online. Il primo è stato capace di fare saldi presentati in una bella maniera scintillante, il secondo in un modo esclusivo, ai limiti del segreto. E i brand mantengono così la loro esclusività. Poi c'è Yoox, che ha il merito di essere enorme e particolarmente cheap. Peccato che proprio per questo la roba bella non arrivi mai e,se arriva, lo fa per svanire in un giorno.
THE END!Ps.: la mia versione è molto più bella di quella originale, ergo, diventate fan della mia pagina fb:http://www.facebook.com/pages/Girastilemondo/192055110807669


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