Hōzuki-san chi no aneki ( 鬼灯さん家のアネキ) . Regia e montaggio: Imaizumi Rikiya. Soggetto: dal manga di Igarashi Ran. Sceneggiatura: Imaizumi Rikiya, Kataoka Shō. Fotografia: Inagawa Hiroshi. Luci: Osada Asami. Suono: Saijō Hiroyuki. Scenografie: Yamashita Yūji. Musiche: Soga Jun’ichi. Interpreti: Tani Momoko, Maeno Tomoya, Satō Kayo, Kawamura Yukie, Furusaki Hitomi, Mizusawa Shingo. Produzione: Omori Ujikatsu, Chiwata Hidehisa, Shibahara Yūichi per Kadokawa, Pony Canyon, Dub. Durata: 118. Uscita nelle sale giapponesi: 6 settembre 2014.
Link: Trailer (Youtube)
Punteggio ★★1/2
In seguito alla morte della madre e, in un secondo tempo, alla partenza del padre alpinista per una spedizione sull’Himalaya, l’apatico liceale Gorō si trova a vivere da solo insieme alla bella sorellastra Haru, più grande di lui. La giovane donna si diverte a stuzzicarlo continuamente con scherzi e provocazioni sessuali, suscitando la gelosia di Mizuno, una compagna di scuola e amica d’infanzia del ragazzo. Non tutto, però, è esattamente come sembra.
Come già nei precedenti Sad Tea e Koppidoi neko, ma anche nel riuscito episodio Kuchibakka contenuto nell’omnibus Virgin, il cinema del giovane e promettente Imaizumi Rikiya torna a concentrarsi, con i toni della commedia surreale, sui sentimenti dei suoi protagonisti, interrogandosi in particolare sulla natura dell’amore e sulle forme, talvolta inusuali e sorprendenti ma non per questo meno genuine, che esso può assumere. Tra salti all’indietro e in avanti nel tempo, sequenze “a episodi” e intramezzi onirici nei quali l’immaginazione si sostituisce alla realtà senza soluzione di continuità, l’intreccio si dipana seguendo una tripla traccia che sfiora, sovrapponendoli, altrettanti temi particolarmente cari al mondo dei manga erotico-sentimentali (cui il film attinge direttamente in quanto trasposizione di un omonimo yon-koma a firma di Igarashi Ran): “complesso della sorella”, infatuazione saffica e attrazione inespressa per l’amico (o l’amica) d’infanzia. Tra i tre, prevalente è quello del rapporto al limite dell’incestuoso tra un fratello e una sorella (benché non uniti da un legame di sangue), che le circostanze portano a vivere da soli sotto le stesso tetto. Un tema tra l’altro già trattato con maggiore disinvoltura, ma a ruoli invertiti e con esiti differenti, in un’altra trasposizione cinematografica : Cream Lemon di Yamashita Nobuhiro.
La caratterizzazione dei personaggi, come del resto l’impiego frequente dei pensieri over al fine di esprimere la loro interiorità, tradisce inevitabilmente il legame con il medium d’origine, e si assesta su cliché di tipica derivazione manga quali quello del liceale imbranato inspiegabilmente oggetto di attenzioni sessuali da parte delle procaci donne che lo circondano e quello, a esso complementare, della ragazza irriverente e pestifera che su di lui scarica tutta la propria spregiudicatezza. A questi stereotipi si aggiunge il quello dell’amica d’infanzia segretamente innamorata, abilmente smentito tuttavia nella seconda parte del film con un abile colpo di scena. Il film esordisce tenendosi sulle classiche atmosfere della commedia sexy, sottolineate , specialmente nella prima parte, da un’interessante colonna sonora che, a tratti, sembra quasi voler richiamare quella “all’italiana” degli anni Settanta (per quanto possa sembrare strano, ammetto di essermi ritrovato a pensare ad Alvaro Vitali, di fronte allo sguardo inebetito con cui il protagonista cede alle provocazioni della sorella). Tuttavia, proseguendo, l’opera assume una piega differente, rivelandosi un più serio racconto di formazione affatto privo di note dolenti, come la morte della madre e le sue conseguenze, i sacrifici di Haru e Mizuno, nonché tutta una serie di dolorose incomprensioni affettive che minano la serenità di facciata dei personaggi. Veniamo infatti a scoprire che gli approcci sessuali di Haru non sono altro che l’espediente tramite il quale la ragazza, in passato, è riuscita a salvare dalla deriva psicologica il fratello minore, verso cui prova un sincero e smisurato affetto e che negli anni precedenti, in seguito alla morte della madre, si era barricato in camera senza più parlare con nessuno come un hikikomori. Questa evoluzione di registro mette in luce come, più sotterraneamente, Hozuki-san chi no aneki sia anche un film sullo scarto tra apparenza e realtà, tra facciata e sentimento, tra le immagini e il loro significato intrinseco. Lo notiamo specialmente nelle scene che mostrano i tre protagonisti spiarsi a vicenda, in divertenti giochi di sguardi incrociati e stratificati (Mizuno che osserva Gorō che spia la sorella che sa di essere spiata; Gorō che scruta da uno schermo Mizuno che si introduce in casa per piazzare una videocamera nascosta, dalla quale osserverà poi lo stesso Gorō che, scopertola, andrà a verificarne la presenza, mentre Haru spia entrambi da una terza videocamera nascosta nell’occhio di un enorme peluche), senza che tuttavia le riprese dei dispositivi disseminati per tutto l’appartamento consentano ai personaggi di andare oltre l’immagine sgranata, per comprendere la vera natura delle situazioni in campo e dei sentimenti delle persone rappresentate.
Nonostante la scarsa originalità e la sostanziale prevedibilità del soggetto di partenza, Hozuki-san chi no aneki riesce comunque a donare allo spettatore una buona impressione di freschezza grazie all’originalità delle soluzioni narrative, visive e sonore adottate dall’autore, il quale, con libertà espressiva e attenzione al dettaglio, riesce a rendere interessante e godibile quella che, sulla carta, sembrerebbe solo una commedia dozzinale. [Giacomo Calorio]