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All'inizio sembra che la neve ti sfiori il viso e d'istinto alzi la mano per toccarla. Ma in realtà non c'è nulla davanti a te, se non, e piuttosto lontano, uno schermo gigante. E' con questa piccola "magia" che comincia "Hugo Cabret", l'ultimo film di Martin Scorsese, il suo primo 3D (tratto dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, pronipote di David, il produttore di "Via col vento"). Siamo nella Parigi degli anni Trenta, in uno dei suoi "ingranaggi" più frenetici: la stazione di Montparnasse. E' qui che abita clandestinamente il piccolo Hugo (Asa Butterfield), un orfanello a cui la vita ha levato tanto ma che riserva per lui anche particolari sorprese. Hugo aggiusta orologi e prova a rimettere in sesto un automa lasciatogli in "eredità" dal papà. Nella ricerca dei pezzi mancanti, si imbatte nel signor George (Ben Kingsley), nella sua bottega di giocattoli in stazione e nella sua figlioletta adottiva. Ma George, burbero e intransigente, non è un semplice costruttore e venditori di giocattoli di latta. E' un "mago", un visionario, uno che nei prissimi anni di vita del cinema ha visto in esso un linguaggio espressivo e artistico unico. George è George Méliès, quello de il "Viaggio nella luna".Scorsese parte da qui per fare un omaggio commovente alla Settima arte. E lo fa con gli occhi di un bambino, con uno sguardo curioso, con un amore sconfinanto per quest'arte che continua ad ammaliare. Ed è significativo che questo omaggio venga fatto in 3D e che 3D. Personalmente è la prima volta che vedo un film girato in 3D con coscienza. Non c'è la ricerca dell' effetto, quanto un lavoro magistrale (non a caso si parla di uno dei più grandi registi in circolazione ancora) nel cucire pefettamente la tecnologia e le sue prodezze all'interno del tessuto narrativo e dell'estetica del film. Con un risultato artistico stupefacente. Lo spettatore "vive" l'epoca, i luoghi, i personaggi. Si prova quello che forse hanno provato quei primissimi spettatori del cinema dei Lumière, quando una locomotiva stava per "sfondare" lo schermo della sala.
Poi c'è la storia, tenera, emozionante. Il piccolo Hugo cerca il suo posto nel mondo, domanda lecita quando ad una manciata di anni ti trovi solo al mondo. In che parte dell'ingranaggio vita-universo si trova Hugo? Dov'è il senso della sua esistenza? La sua ricerca è stranziante, il rifugio nelle invenzioni del padre e nel cinema toccante. Che il cinema possa dare nuova vita? Non sono Scorsese, ma mi viene gran voglia di dire di si.Da non perdere.
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