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Humani nihil a me alienum puto.

Creato il 08 agosto 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

da FANPAGE, 08 agosto 2012

Alex Schwazer ha tenuto oggi una conferenza stampa, durante la quale ha ammesso di essere ricorso all’eritropoietina, assumendosi la totale responsabilità di questa scelta compiuta in un momento di forte tensione psicologica.

Humani nihil a me alienum puto.
La conferenza di Alex Schwazer è appena terminata. Sinceramente, in me ha prodotto sensazioni profonde. La vicenda, da un punto di vista umano, è drammatica. La sincerità, la schiettezza, la rapidità con le quali Schwazer ha ripercorso tutte le tappe delle conseguenze morali e fisiche dell’assunzione di EPO sono devastanti. Personalmente, sono stato accusato di essere un «tipico buonista italiano», «ipocrita e incoerente» nella difesa contestuale dello sport e di un uomo come Schwazer, che è un «criminale» reo di essersi fatto sorprendere in un sistema che è semplicemente marcio. Non mi interessano questi commenti, non sono io il centro della riflessione: chi se la prende con me – legittimamente, è chiaro – osserva il dito, anziché la luna.

Torniamo all’argomento principale. Schwazer ha ammesso il proprio crollo psicologico e la necessità, percepita quale inevitabile, di ricorrere a una sostanza dopante per mantenere elevati livelli di prestazione sportiva. Alex ha raccontato tutta la trafila: il viaggio solitario in Turchia, l’incertezza sulle reazioni fisiologiche che l’EPO comporta, le notti insonni nel timore dell’arrivo della W.A.D.A., persino i particolari come il cambio di 1.500 euro in lire turche, ma ha negato di essere fuggito dai controlli e di aver evitato la 20 chilometri di marcia per motivi diversi dal solo raffreddore. Le parole di Schwazer sono state dolorose: il marciatore è consapevole di aver deluso la propria famiglia e l’Italia. (En passant: ieri, l’olimpionico di Pechino aveva sbagliato citando direttamente alcuni casi di sospetto doping, tra i quali quello della contestata nuotatrice cinese Ye Shiwen, risultata comunque in regola).

Ho già descritto la mia posizione in un precedente articolo, e confermo che ritengo dobbiamo sospendere ogni giudizio, lasciando che le Autorità competenti procedano secondo le basi del diritto. Io mi sono sentito profondamente piccolo di fronte alla conferenza stampa di Schwazer, perché ho visto in lui il baratro lungo il cui bordo ogni essere umano cammina, talvolta alla cieca: la paura di cadere, di fallire, di perdere tutto in un istante spesso conduce proprio all’esito (in)sperato. Subentra, in alcune circostanze, la scelta volontaria e consapevole – come nel caso di Alex – di vie sbagliate che, paradossalmente, si è certi porteranno alla rovina, quasi si cercasse la legittimazione della distruzione. E allora, come ripetuto anche dallo stesso Schwazer, la fine di tutto è la liberazione. Non sono uno psicologo, le mie sono solo supposizioni, ma la vicenda del marciatore non è altro che un tracollo che potrebbe capitare a tutti noi. Alex, che ha ammesso di non amare più la propria disciplina, non è stato dissimile da tante altre persone, le quali, bloccate in situazioni professionali o familiari insostenibili, alla fine sono letteralmente esplose, sebbene non nel clamore mediatico. Gli esseri umani sono così: nella loro bellissima diversità, qualcuno è più forte e qualcuno è più debole, e da questa consapevolezza transita la sottile distinzione tra giustificazione e comprensione. Schwazer aveva tutto, e ha perso volontariamente e coscientemente tutto. Non creo alibi, ma voglio fortissimamente capire ciò che quel ragazzo ha da dire.

Ho un timore molto forte, però, una vera e propria paura: il ripetersi di un caso Pantani, con il Pirata, mai trovato positivo dalle analisi, che fu il capro espiatorio di un intero sistema e dal sistema stesso fu spinto alla morte. Proviamo a leggere alcuni commenti agli articoli che sono stati scritti su Schwazer, ad analizzare le parole che auspicano la ricerca della violenza catartica contro un atleta definito «traditore», «drogato», «vile»; riflettiamo sull’inopportuno attacco che il suo sito internet ha subito per opera di Anonymous. Il CONI ha agito bene sospendendo il marciatore, e – ripeto – le Autorità competenti sportive dovranno agire e prendere i legittimi e adeguati provvedimenti. Per quanto possiamo gridare o restare in silenzio, tuttavia, non saremo noi a prelevare il sangue, svolgere le indagini, emettere il giudizio. Non smetterò mai di schierarmi con forza contro la gogna mediatica che già si sta predisponendo, perché, oggi, Schwazer non è diverso, umanamente, da chi, indipendentemente da posizioni e risorse personali, è crollato per molteplici motivi, credendo di trovare la salvezza – ossia la desiderata autodistruzione – nella droga, nell’alcol, nel gioco d’azzardo o in una qualsiasi altra scorciatoia maligna. E la miseria umana, nelle differenze, è uguale, comunque, per l’imprenditore cocainomane che ha bisogno di emozioni forti e sensazioni amplificate, il barbone alcolizzato che trova nel liquore il calore perduto, il giovane che abusa di medicinali per aumentare la potenza sessuale, lo sportivo che, giunto al vertice del successo, crolla.

Certo, l’aggravante da imputare a Schwazer è che la sua scelta ha offeso la maglia azzurra che egli indossava, e, forse, una buona parte della rabbia di molti deriva proprio dall’essersi sentiti traditi da un atleta nel quale era stata riposta la migliore fiducia del Paese. Nessuno vuol rendere Schwazer un eroe: qualcuno, però, vorrebbe spingerlo al patibolo.

Beniamino Franceschini

Humani nihil a me alienum puto.

  • La versione integrale dell’articolo può essere letta qui: Humani nihil a me alienum puto.


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