La Noia (no, non ho detto gioia), ma Noia, Noia, Noia! Ecco a voi: Hunger Games e Hunger Games - La ragazza di fuoco (Mattone 1 diretto da Gary Ross nel 2012. Mattone 2 diretto da Francis Lawrence nel 2013)
Come prendere una trilogia di romanzi che parla di robe fantascientifiche atte a riflettere e trasformarla in una serie infinita di film che parla di robe fantascientifiche atte a riflettere facendoci due maroni grandi come la capanna dello zio Tom. Questo è quello che accade quando intraprendi il viaggio della speranza di Hunger Games, che è come prendere un freccia argento Bolzano-Roma. Lo strazio del tragitto è talmente insopportabile che ti maledici per averlo iniziato. Ma ormai ci sei e ti fai coraggio. I romanzi non li ho letti, ma credo che li eviterò come un contagio di colera, visto che qualcuno mi ha detto che sono perfino peggio dei film. Ed arriviamo a questi film, di cui farò di tutta l’erba un fascio perché sì. Tanto l’unica differenza tra il primo e il secondo capitolo è che cambiano i registi, per il resto è lammerda cosmica.
Lammerda della peggior specie, quella che realizza uno scadente prodotto d’intrattenimento con la presunzione di farti i pipponi moralisti. Se non sapete di cosa parla questo dozzinale prodotto ve lo dico in due parole: una ragazza con arco e freccia diventa suo malgrado un’eroina vincendo gli hunger games, gioco simpaticissimo dove devi ammazzare i tuoi avversari, mentre il Grande Fratello ti guarda e si diverte. Questa società distopica è governata da un gran cattivone, che convince cani e porci che quella ragazza lì è speciale, quindi pericolosa, quindi deve morire. Chiaro no? Ora tutti gli adolescenti del globo si saranno sentiti proprio intelligenti, visto che hanno capito il senso profondo di questa creazione, nonostante dialoghi e concetti superdifficilissimi. Povere stelle, qualcuno glielo dica che L’Implacabile con il caro Schwarzy aveva già detto tutto nell’87, con simpatica cafonaggine e senza frantumarci le sfere con arrogante seriosità.
Questo Hunger Games è da trollare forever, sconclusionato e insensato, girato malamente (i videclip ci piacciono quando durano 3 minuti, non due ore e mezza) e con attori che, vedendo il vecchio 730, forse si sono depressi. Altrimenti non mi spiego come gente del calibro di Philip Seymour Hoffman e Donald Sutherland si siano potuti scomodare. E parliamone, del cast: Sutherland ha lo sguardo perso nel vuoto ad ogni inquadratura, sembra pensare a quei bei tempi in cui era un ganzo ricciolo d’oro e faceva Animal House. Hoffman, presente solo nel secondo capitolo, appare un pesce fuor d’acqua che si interroga sul perché stia lì. Grasse risate per Lenny Kravitz con l’ombretto, nel ruolo di stilista fashion (nella scena degli applausi per l’abito nuziale di Katniss mi ha ricordato Luca Tommassini in X Factor). Ma non era un cantante? Infatti a un certo punto lo prendono a mazzate e si capisce, però potevano farlo prima (Lenny, ti ricordi cosa disse Bob Marley? “Perché abbiamo i dreadlocks? Perché ci mantengono puri, ci tengono lontani da babilonia. Se io avessi i capelli ben rasati mi accoglierebbero in luoghi come le discoteche e perderei la mia integrità” Ecco, fatti crescere di nuovo i capelli e rifatti i dreads, rimetti a posto le cose, su).
Per non parlare della ridicolaggine assoluta di Woody Harrelson, con quella pettinatura da angioletto della Thun, sembra davvero che abbia bisogno di bere per poter recitare quel ruolo indegno. Ed eccoci arrivati a lei, Jennifer Lawrence che è bella, sì, ma come la conciano nella grande metropoli pare un fenomeno da baraccone. Ma in effetti tutti lo sembrano. A me la Lawrence piace, nonostante tutto io mi auguro si scrolli di dosso questo scempio di Hunger Games e torni a fare l’attrice impegnata (in Un gelido inverno è meravigliosa) rinnegando questo personaggio mediocre di Katniss. Un’eroina? Ma per piacere. Una ragazza col faccino sempre un po’ triste che diventa un simbolo di speranza non si sa bene perché.
Ciò detto, come ci si spiega un successone simile? Hollywood finanzia progetti palesemente scarsi ma che a conti fatti piacciono, e anche tanto. E’ il solito dilemma: di chi è la colpa? Del pubblico ignorante o dell’industria che propina robaccia? Il made in Italy, si sa, è esperto di questo, ormai non si può far altro che avere nostalgia dei tempi che furono. Se il cinema ha virato verso una sottocultura priva di contenuti, anche nell’intrattenimento, è perché alla gente sta bene così. Con una boiata come Hunger Games ci si può perfino vantare di aver finto una riflessione sulla bruttezza della globalizzazione. La mia riflessione più profonda è stata sull’incredibile risultato di Stanley Tucci nell’assomigliare a Carlo Conti e Barbara D’Urso. Un mix oggettivamente perfetto. Auguri per i prossimi Hunger Games di millemila ore. Meditate sull’orribile futuro distopico che ci attende.
P.S.
Ho scritto questo pezzo molti mesi fa e Philip Seymour Hoffman era ancora vivo. La sua improvvisa scomparsa, avvenuta il 2 febbraio, mi ha sconcertato. Come tutto il chiacchiericcio post mortem, perché se un attore muore per overdose non rientra nel mito leggendario come accade per le rock star. Ci si deve ricamare su, con patetico pietismo o con superiorità severa. Io mi sono sentita semplicemente tanto triste per una vita stroncata, la vita di uno degli attori più grandi della sua generazione, ancora giovane e ancora perfettamente in grado di fare il suo mestiere. E credo che, certe volte, dinnanzi alla morte che non guarda in faccia nessuno, ci voglia solo un doveroso silenzio. In pace, riposa.
Silly