Ci risvegliamo con Katniss storditi e impauriti, incapaci di realizzare quello che è successo, che fine possa aver fatto Peeta, cosa quella freccia scoccata sul cielo degli Hunger Games possa aver scatenato.
Gli incubi si susseguono, assieme alla paura.
Siamo sottoterra, siamo vivi.
Da quella freccia a oggi sembrano passati dei mesi, è passata una rivoluzione che è infuocata e le cui fiamme non sono ancora state domate del tutto, nonostante i bombardamenti di Capitol City, nonostante le uccisioni a raffica dei pacificatori. Il tredicesimo distretto non esiste più, sulla carta, ma sopravvive in quel bunker sottoterra dove poco è permesso, dove pian piano quella rivoluzione la si vuole fomentare.
Il modo migliore per farlo è avere la Ghiandaia Imitatrice come simbolo, usarla in video ad effetto che alimentino la speranza e la ribellione.
Facile a dirsi, per due teste programmatrici come Plutarch e Alma Coin, difficile a farsi se quella Ghiandaia è una Katniss ferita, da sempre incapace di stare al copione, e separata dal suo Peeta.
C'è la sua famiglia però, c'è pure il gatto, e c'è Gale, che la accompagna a vedere con i suoi occhi cosa il Presidente Snow ha fatto, cosa ha scatenato per mettere a tacere proteste: morti sopra morti, feriti sopra feriti.
Tutto per lei.
Solo allora Katniss si sveglia, solo allora entra in azione, con collaudate frecce potenti, diventando la leader che tutti cercano.
Già sulla carta questa prima parte dell'ultimo capitolo della saga di Hunger Games non prevedeva azione e scintille.
Quelle sono riservate al gran finale, e la mancanza di un programma solido e cinico come i Giochi si fa sentire. Ma quando Katniss si sveglia, quando è chiamata dalla troupe che la segue ad esprimersi e a entrare in azione, lì la riconosciamo, troviamo in lei quella ragazza che si vorrebbe essere, che si vorrebbe morta o a cui ci si vorrebbe unire.
Ci vuole pazienza quindi, perchè questa terza parte è fatta di tattiche, di mosse e contromosse in cui c'è chi gioca la parte del gatto, chi della luce che vorrebbe catturare, che inganna, quindi.
In questo suo calibrato equilibrio, il film si dimostra la saga matura che è, distante dagli altri young adult che attirano il pubblico più giovane: qui c'è spazio per fini esperimenti psicologici, per tattiche di battaglia e strategie politiche, c'è spazio per un cast di alti livelli visto che ai comprimari Philip Seymour Hoffman (alla cui memoria il capitolo è dedicato), Woody Harrelson e Jeffrey Wright si vanno ad aggiungere attori come Julianne Moore o la giovane promettente Natalie Dormer.
E poi c'è lei, Jennifer Lawrence che forse esagera, che in quelle lacrime e quei tremori ci mette tanto, troppo, ma che convince anche una restia al suo fascino come la sottoscritta, mostrandosi combattuta in amore come nel campo di battaglia.
E allora si perdonano al film i momenti di lentezza e i monologhi ad effetto, i momenti di suspance sempre per quel gatto.
Glieli si perdona perchè così come il cast, anche tutto il resto funziona, tra silenzi e canzoni che commuovono, tra scenografie in cui la polvere e le ossa la fanno da padrone, dimenticando quei colori accesi e acidi a cui Capitol City e la sempre più umana Effie ci avevano abituato.
Come capitolo transitorio e soprattutto preparatorio, questo Canto della Rivolta prende e solleva, lasciando vogliosi di vedere insorgere ancora il popolo, di volerlo vedere lottare, perchè solo allora, guidati da una Katniss volitiva, tutto trova il suo senso.
Guarda il Trailer