Prologo che lascia molte porte aperte
Classica pellicola di transizione, Hunger Games – Il canto della rivolta: parte I rallenta necessariamente il passo per permettere di caricare la bomba a orologeria rappresentata dall’ultimo capitolo della saga.
Katniss, prelevata in stato incosciente alla fine dei 75esimi Hunger Games, viene trasportata al, creduto distrutto, Distretto 13. Qui c’è la sede della resistenza e Plutarch, esperto di comunicazione, decide di utilizzare Katniss come simbolo per convincere i distretti a ribellarsi a Capitol City. Nel mentre Peeta è prigioniero.
È sempre difficile giudicare una saga pensata per un pubblico adolescente, che ha riscosso tanto successo e che ha saputo fare “scuola”. Ed è ancora più difficile recensire un film che è una parte di un capitolo finale. Sicuramente perché tutte le pellicole che rientrano in questa categoria sono spesso dei prodotti di transizione, che non svelano nulla e che tengono aperte molte porte. Difatti se nei primi due episodi di Hunger Games il pubblico aveva assistito a opere aperte, ma fondamentalmente “chiuse” (la vicenda che si sviluppava spesso trovava modo di esaurirsi), Hunger Games – Il canto della rivolta: parte I è un interminabile prologo che, confrontato con i suoi predecessori, ha i suoi evidenti difetti e carenze. Tuttavia qualcosa da recuperare c’è ed è un elemento che si era perso in Hunger Games – La ragazza di fuoco. Perché la fortuna della saga non si basa solamente sulla storia d’amore tra Katniss e Peeta, ma su quell’interessante delineazione dell’esclusivo (e pittoresco) micromondo che è Capitol City e sull’analisi dell’influenza televisiva, dell’audience e dell’importanza di apparire credibili e convincenti. E questo felice risvolto narrativo torna abbastanza prepotente in quest’ultimo capitolo. Sia ben chiaro: siamo nel bel mezzo di una rivolta dell’oppresso (e vessato) popolo nei confronti del potere prevaricatore. Siamo agli albori di una guerra civile, eppure è costante la volontà di costruire il consenso tramite video virali (realizzati in studio) e tramite slogan recitati “malamente”. In Hunger Games – Il canto della rivolta: parte I si sente l’urgenza di sottolineare marcatamente che le guerre si costruiscono a tavolino, tramite gli strumenti che aizzano le folle, grazie ai simboli che si rendono credibili davanti a una macchina da presa. È questo aspetto politico e antropologico che rende Hunger Games molto più intelligente e interessante di una qualsiasi sterile e stucchevole saga adolescenziale.
Inoltre Francis Lawrence (il regista), ponendo particolare attenzione alla figura di Katniss, rimasta sola a combattere Capitol City, si permette di indagare più a fondo la psicologia dell’eroina, inizialmente riluttante, che si dona alla causa in modo consapevole. Baluardo di un popolo ridotto in povertà e di un mondo tramutato in macerie, Katniss è il faro degli oppressi e ispiratrice di fiducia: un’operazione di marketing su larga scala. E sono tutti questi aspetti di contorno che incuriosiscono lo spettatore. Difatti tutto ciò che si distanzia dall’affetto (amore?) tra i due giovani è portatore sano di testato impatto emotivo ed è decisamente un fattore degno di nota e che permette di comprendere meglio il sottotesto politico e sociale di un prodotto apparentemente superficiale come Hunger Games. Fondamentalmente il rapporto tra i due protagonisti, pur essendo il traino del grande pubblico, appare quasi secondario, un espediente utile per mostrare un mondo che pare lontano, ma che nelle dinamiche sociale è estremamente vicino al nostro.
Tuttavia, rimanendo nella sfera puramente analitica della pellicola diretta da Francis Lawrence, si può dedurre che il film è quasi ingiudicabile perché mancante di quella sezione esplosiva, brutale e di svolta, che aveva contraddistinto le precedenti pellicole. Hunger Games – Il canto della rivolta: parte I è una sorta di lunga ed estenuante preparazione, ma non si è ancora entrati nell’arena.
Uscita al cinema: 20 novembre 2014
Voto: ***