Presentato, fuori concorso, all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Hunger Games- La ragazza di fuoco, secondo capitolo della prevista trilogia, rispetto al primo film del 2012 mi ha piacevolmente sorpreso, grazie ad un migliore equilibrio narrativo e, soprattutto, una maggiore caratterizzazione, anche se la primaria sensazione è stata quella di aver assistito al classico episodio di transizione, preparatorio a quanto avverrà in seguito.
La precedente pellicola, complici i rimandi a varie pellicole action e sci-fi degli anni ’80-’90, soffriva infatti non solo della mancanza di un’originale visionarietà, ma anche di un apparato visivo – narrativo sospeso fra graphic novel, videogame e teen drama d’impronta televisiva, per cui riusciva solo in parte a conferire opportuna dimensione cinematografica alla metafora propria del trittico letterario d’origine, opera di Suzanne Collins (edizioni Mondadori in Italia), forse semplicistica ma accettabile nell’ottica di un target adolescenziale: tratteggiare, all’interno di una società distopica, un futuro che guarda al passato per ammonire riguardo il nostro presente.
Jennifer Lawrence e Josh Hutcherson
Ora, mutati gli orchestrali, ovvero regista (Francis Lawrence in luogo di Gary Ross) e sceneggiatori (Simon Beaufoy e Michael Arndt hanno sostituito Billy Ray, Ross e Collins) la musica è cambiata.
Se lo script rispetta, pressoché pedissequamente, il testo originario, la regia, forte di uno stile più “composto”, meno frenetico e nervoso, riesce a mettere in scena, con una certa gradualità, un efficace parallelo fra la presa di coscienza della popolazione dei 12 distretti e quella che man mano s’insinua nell’animo di Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence).
I cittadini dello stato di Panem (ex Nord America) hanno infatti ripreso a coltivare la speranza di potersi affrancare dal regime tirannico della capitale Capitol City, personificato dal presidente Snow (Donald Sutherland), proprio grazie al sovvertimento da parte dell’intrepida fanciulla del regolamento degli Hunger Games (un solo vincitore), in nome dell’amore per il coetaneo Peeta Mellark (Josh Hutcherson), anche se il cuore di Katniss in realtà sembrerebbe battere per Gale Hawthorne (Liam Hemsworth).
Liam Hemsworth
E così Il Victory Tour dispensa ai due vincitori più che gli allori della vittoria, la consapevolezza di una crescente insubordinazione, fra scritte sui muri e vari episodi, in apparenza isolati, di ribellione. D’altronde il perfido Snow, coadiuvato dal mellifluo Plutarch (Philip Seymour Hoffman) sta già correndo ai ripari, instaurando un regime repressivo ed organizzando una particolare edizione, la 75ma, dei “giochi”, cui parteciperanno “tributi” non estratti a sorte, ma scelti fra quanti hanno vinto in passato…
Il sofferto travaglio interiore di Katniss, risulta, almeno a mio parere, il vero traino di Hunger Games- La ragazza di fuoco, espresso efficacemente dalla Lawrence, cui a volte basta un semplice sguardo per far intuire il dissidio proprio di una personalità in crescita, che ha ormai acquisito una maggiore coscienza etica e sociale, ed è consapevole tanto del proprio destino quanto delle conseguenti responsabilità, ovvero la necessità d’intraprendere la lotta con e per il popolo unita all’urgenza di sottrarre dal pericolo i suoi familiari.
Donald Sutherland e Philip Seymour Hoffman
Il regista Francis Lawrence evidenzia in modo efficace ed incisivo tutte le storture del sistema e delinea un forte contrasto, anche da un punto di vista puramente visivo (grazie alla valida fotografia di Jo Willems), tra il grigiore e gli stenti dei 12 distretti e il pacchiano luccichio di Capitol City, tutta abbondanza e crapulona agiatezza, tanto che ai party si servono beveroni atti a svuotare lo stomaco, così da poter continuare tranquillamente ad abbuffarsi (versione moderna del dito in bocca in uso presso i banchetti degli antichi Romani).
Senza la valida sottolineatura di tali tematiche, con il risvolto politico a farsi man mano più insinuante, sempre nell’ottica del target di riferimento, il film finirebbe con l’offrire, oltre alla melensa visualizzazione di un altalenante ménage à trois fra Katniss, Gale e Peeta, la riproposizione di un meccanismo già ben conosciuto: la sfilata preparatoria ai giochi, la televisione “grande fratello” con il “bravo presentatore” Stanley Tucci, gli allenamenti ed infine la lotta nell’arena, per quanto meno schematica e preponderante rispetto al primo capitolo, capace d’esprimere un certo grado di tensione, anche se dal sentore vagamente precostituito.
Non resta allora che attendere il gran finale, Hunger Games- Il canto della vittoria (suddiviso in due parti, in uscita nel 2014 e nel 2015), il suo svolgimento ed una sua valida conclusione, consona, auguriamo, ad una pellicola dai toni più solidi e concreti rispetto ad altre opere rivolte al pubblico adolescenziale.