Hunger Games: Panem et Circenses

Creato il 23 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Nel panorama narrativo e cinematografico del XXI secolo, Hunger Games cavalca l’onda del successo mondiale di pubblico e botteghino, al fianco di svariati altri titoli di saghe “young adults” ambientate in universi fantastici più o meno originali.

I film, ispirati al mondo cartaceo creato dalla scrittrice americana Suzanne Collins, sono campioni d’incassi in patria e non: Hunger Games – La Ragazza di Fuoco rientra tra le prime cinquanta pellicole ad aver riportato i maggiori introiti in assoluto a livello mondiale. Il canto della rivolta – parte 1, approdato nelle sale lo scorso novembre, è rimasto per tre weekend consecutivi il film più guardato nei cinema statunitensi, classificandosi al secondo posto tra i “Biggest 2014 Openers” dopo I Guardiani della Galassia.

I 333 milioni di dollari di budget complessivi spesi per la realizzazione dei primi tre film della saga (rispettivamente 78 per Hunger Games, 130 per La Ragazza di Fuoco e 125 per Il Canto della Rivolta) rendono la saga un vero e proprio blockbuster.
Il larghissimo consenso del pubblico, unito al fatto che la storia nasce come romanzo per ragazzi, può spingere un fruitore più smaliziato a storcere il naso di fronte ai vistosi effetti speciali, all’ennesimo triangolo amoroso, alla giovanissima età dei protagonisti. Tuttavia, ciò che piace alla massa e al portafoglio dei produttori non deve essere per forza indice di scarsa qualità.

Hunger Games è concepito come libro per ragazzi (e il fatto che le sue basi siano di carta e inchiostro dovrebbe già essere di per sé una garanzia), una fiaba avvincente che si tinge di macabro come nei celebri originali dei fratelli Grimm e che, come le favole, è allegoria di qualcos’altro: del mondo degli adulti e delle sue brutture, in particolar modo quelle della nostra epoca.

La società distopica tratteggiata dalla Collins ha le sue fondamenta nel malsano interesse sviluppato dall’umanità per la spettacolarizzazione della vita altrui. Come in 1984 di George Orwell o in The Truman Show di Peter Weir, i mezzi di comunicazione diventano strumenti di controllo e sopruso. In Hunger Games troviamo ragazzini costretti a uccidersi tra loro per il divertimento degli spettatori: vengono filmati da piccole telecamere fluttuanti, simili agli occhi alati che monitorano costantemente il processo di invecchiamento del protagonista in Mr. Nobody, trasmettendolo ai curiosi abitanti della terra.

La violenza come intrattenimento ha sempre avuto un certo fascino nella storia dell’umanità, ottenendo più o meno successo e più o meno legalizzazione in base alle epoche: dagli spettacoli gladiatorii a Roma, alla corrida e ai combattimenti tra cani, la crudeltà spettacolarizzata ha e continua purtroppo a esercitare particolare attrazione su una fetta di individui.

Altri tipi di violenza sono rappresentati – e denunciati – dalla saga di Hunger Games: la violenza che Capitol City, centro di Panem, esercita sui 12 Distretti a essa sottomessi, costretti a rifornirla di risorse e Tributi per gli annuali Hunger Games. Il sacrificio di molti per la sopravvivenza, anzi per l’ultrabenessere, di pochi altro non è che la perfetta raffigurazione del mondo occidentale, che deve il suo attuale sviluppo e ricchezza a oltre trecento anni di sfruttamento dei Paesi del Sud del mondo.

Altra violenza è quella che il presidente Snow mette subdolamente in atto nei confronti dei Vincitori dei giochi, trasformandoli in veri e propri schiavi e strumenti di propaganda.

Sulla falsa riga di precedenti film distopici, su tutti Matrix e V per Vendetta, anche in Hunger Games il corrotto sistema centrale si fonda su di una menzogna che viene pian piano rivelata alla riluttante protagonista e agli spettatori. Il Canto della Rivolta –parte 1 rappresenta lo svelamento di questa verità e del meccanismo che si cela dietro una rivoluzione, che non nasce come sommossa popolare, ma come piano accuratamente pensato da un’élite di politici e intellettuali.
Katniss Everdeen (impersonata per la terza volta da Jennifer Lawrence), reduce di guerra con disturbi da stress post traumatico, tormentata dagli incubi e impacciata di fronte alla telecamera, si ritrova a essere nuovamente usata, questa volta come vessillo della ribellione. In un mondo basato sulla finzione televisiva, ciò che risulta vincente in Katniss è la sua spontaneità e umanità, unite a una fine sensibilità adolescenziale, che da guerriera sopravvissuta la trasformano in una fiamma di speranza.

In questo terzo film, senza dubbio più statico e riflessivo dei due precedenti, si alternano scene sul campo di battaglia a dibattiti politici e strategici, portati in scena da attori del calibro di Julianne Moore, nei panni della leader dei ribelli Alma Coin, e di Philip Seymour Hoffman (Plutarch Heavensbee) in una delle sue ultime interpretazioni.
La pellicola, che spezza in due il libro per meri fini di lucro, aggiunge alla matrice cartacea i vantaggi che un prodotto audiovisivo può fornire. Innanzitutto una colonna sonora, poi la possibilità di rappresentare contemporaneamente avvenimenti che si svolgono in due luoghi diversi (la scena della tratta in salvo degli ostaggi è senza dubbio ben congegnata dal punto di vista della regia e del montaggio). Inoltre, gli elementi metateatrali presenti nella storia, ovvero i numerosi “pass-pro” che vengono girati tra le macerie dei Distretti bombardati, sono certamente più efficaci su uno schermo cinematografico che non sulla pagina di un libro.
Hunger Games: Il Canto della Rivolta –parte 1 è la calma prima della tempesta: crea la giusta suspense in attesa che la rivoluzione divampi, infine, con il quarto e ultimo film, in programma per novembre 2015.

Tags:Hunger Games,hunger games 3,jennifer lawrence,Katniss,mockingjay,recensione,trama Next post

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