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HUNGRY HEARTS di Saverio Costanzo (2014)

Creato il 15 gennaio 2015 da Ifilms
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Scritto da Sara Barbieri
Categoria principale: Le nostre recensioni
Categoria: Recensioni film in sala
Pubblicato: 15 Gennaio 2015
Alba Rohrwacher   Saverio Costanzo   Adam Driver  

HungryHearts poster del filmC’era una volta una ragazza italiana di nome Mina (Alba Rorhwacher) che, in trasferta a New York per lavoro, incontra nel bagno di un ristorante cinese Jude (Adam Driver), un poveraccio in preda a un violento attacco di diarrea (per la serie, chi ben comincia è a metà dell’opera). Ovvio che il restare intrappolati insieme in una squallida toilette faccia scattare la scintilla: fidanzamento, lei rimane incinta (inizialmente, non è troppo convinta ma tant’è, l’amore supera ogni ostacolo) e i due si sposano. Nasce il bambino e lei dà di matto: ossessionata dalla pulizia interiore ed esteriore, rischia di far crepare di fame l’infante, nutrendolo esclusivamente con oli vegetali, semi e avocado. Il tapino Jude, sull’orlo di un esaurimento nervoso, chiede l’aiuto di dottori, assistenti sociali, genitrice e chi più ne ha più ne metta. Tragedia in agguato. Ecco la trama dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Hungry Hearts, presentato in concorso alla 71ª edizione del Festival di Venezia e tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso.

Il regista italiano, dopo il non proprio riuscito La solitudine dei numeri primi, non delude, sfornando un polpettone in salsa comico/drammatica/orrorifica (che poi uno, lecitamente, si potrebbe chiedere: «Ma dove vuole andare a parare?»; beh, parrebbe che non lo sappia esattamente nemmeno lui, dato che ha dichiarato, in conferenza stampa, “di procedere per istinto”), colmo di citazioni (Hitchcock, Polanski, Cassavetes) e delirante nella struttura. Assodato il fatto che il centro della narrazione dovrebbe essere il disturbo mentale di un’anoressica convinta di dare alla luce l’Eletto del nuovo millennio, davvero non si comprende la confusione generale di registri, complicata da una colonna sonora assurda (esemplare la sequenza del matrimonio sulle note di What A Feeling di Irene Cara e le musiche “tensive” nei punti di svolta), inserti thriller e derive formali che lasciano interdetti (le inquadrature grandangolate e deformanti a simboleggiare la famiglia disfunzionale). Voragini nella sceneggiatura, interpretazioni non esattamente convincenti (l’unico a mantenere un contegno è Adam Driver) e un finale a dir poco forzato completano il quadro.

Un’operazione francamente desolante e involontariamente demenziale, talmente maldestra, comunque, da suscitare tenerezza; la stessa tenerezza che si prova di fronte a dichiarazioni del tipo “Ho ancora il coraggio di guardare cosa so guardare?” (Cit. Saverio Costanzo)

Ai posteri l’ardua sentenza.

Voto: 1,5/4


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