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I am in Nepal now

Creato il 11 luglio 2015 da Cren

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Mi racconta un amico nepalese che quando è partito da Kathmandu sua figlia gli disse, “sei fortunato papà, a Hong Kong non ci sono terremoti”. Dopo due settimane, risentendo la bambina per telefono, si senti dire “ora puoi tornare, non ci sono più pericoli a Kathmandu”. In entrambe le occasioni rimase senza parole. Nel frattempo la piccola aveva ripreso a giocare con i suoi amici e tornare a una vita pressoché normale.

Questo sta accadendo per tutti. Ogni tanto qualche scossa ricorda che siamo in zona sismica e sarebbe opportuno, nella ricostruzione, tenerne conto. Migliaia di persone stanno prendendo l’acqua sotto le tende (e qui non si capisce perché il governo non abbia requisito a pagamento camere di hotel per sistemarle), le strade fra terremoto, monsone e lavori sono, in alcune zone, impercorribili. Ma, ovviamente, dopo le due botte,  la gente cerca di tornare a vivere; nei villaggi si ricostruisce alloggi provvisori e si mettono in sicurezza le case ancora in piedi,  così come a Kathmandu.

Certo parti della capitale restano pericolanti, alcune aree di trekking come il Langtang e l’Helambu sono piene di rovine ma il terremoto ha colpito duramente solo 14 dei 75 distretti nepalesi (alcuni dei quali, specie quelli occidentali hanno magari altri e storici problemi di povertà) e solo il 40% (circa) del patrimonio artistico della Valle ha subito gravi danni.

Questo è il messaggio che vogliono trasmettere gli operatori turistici di Kathmandu, riuniti nei giorni scorsi in un meeting e rilanciato dalla rete con i turisti che si fanno fotografare con il cartello I am in Nepal. Gli stessi segnalano che, però, a parte il disastro, che porterà, almeno nel breve, un calo del turismo di circa il 50%, i problemi c’erano anche prima. Costi elevati dei voli aerei interni, dei permessi di trekking, bassa qualità dei servizi, urbanizzazione (strade, lodges) insensata delle principali vie dei trekking.

Rimane bassa, segnalano gli operatori, la media di spesa giornaliera ( usd 43), la durata dei soggiorni (12 giorni) e la distribuzione (la maggioranza dei turisti si concentra in ottobre, novembre, marzo; gli indiani a giugno)

Le conseguenze del terremoto limiteranno, probabilmente, il flusso di turisti indiani (180.000 nel 2013) che arrivano in Nepal per luna di miele, casinò e gita a Chitwan. Probabilmente anche dei cinesi passati da 7.000 (nel 2003) a 113.000 nel 2013 e in genere di quelli asiatici (altri 100.000 visitatori fra cui numerosi thailandesi, 36.000). Molti di questi diretti a Lumbini (luogo di nascita di Buddha) visitato da 150.000 persone all’anno, che non ha subito danni. Questa fetta rappresenta circa il 50% del flusso turistico assestato sui 800.000 visitatori annui. (erano 275.000 nel picco più basso nel 2002).

Gli occidentali coprono il resto con tanti americani, inglesi, giapponesi. Di italiani ne arrivano 9.900 all’anno, in calo dopo il boom derivante dalle adozioni degli anni passati e con flussi rilevanti a Luglio e Agosto). Il turismo contribuisce al PIL nazionale con il 10%, circa usd 400 milioni (entrate raddoppiate negli ultimi 8 anni), ma genera molto se aggiungiamo le attività collegate quali artigianato, tessile, etc. Per molti abitanti dei villaggi (anche del Timal) che sono impiegati come portatori e cuochi, è un importante integrazione del reddito così come per i tanti gestori di bhatti (tea houses) e lodges sulle vie principali dei trekking.

Queste non hanno subito danni rilevanti dal terremoto, ma sicuramente non sono il massimo da percorrere durante il monsone quali Annapurna (113.000 visitatori nel 2013), Everest (36.650), Manaslu (4434). Riparati, parzialmente, dalle montagne è, invece, bello visitare il Mustang ( 2862) e il Dolpo (2300), specie se come promesso il governo ridurrà i costi dei permessi (ora circa USD 100 al giorno) per queste aree.


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