Ieri sera ci siamo ricascati. Non era programmato. Ci siamo lasciati trascinare dagli eventi, da una solitaria notte di fine estate che preannuncia il friccicore dell’autunno. Abbiamo lottato intimamente con il fatale dubbio… Sì o no? E come al solito, non abbiamo resistito alla tentazione. Alla domanda “perché?” noi abbiamo risposto solo “perché no?”. E allora ci siamo rintanate sotto le coperte al buio e l’abbiamo rifatto… Abbiamo rivisto Shame… Per l’ennesima volta! (Sarà anche perché è uscito un nuovo servizio fotografico di Fassy sulla cui pericolosità vi mettiamo in guardia con un esempio…).
Perché Shame cambia e resta se stesso nonostante gli anni che passano, nonostante il cinema che è venuto dopo. E il dolore, la sofferenza, l’emozione che porta con sé muta al mutare della marea della vita. Ieri sera ci ha donato una nuova consapevolezza… E non ci riferiamo alla perfezione intrinseca nel Michelino nazionale. No, questa volta Shame ci ha donato la consapevolezza di una nuova maturità, di un nuovo modo di essere nostro personale. La paura, il passato, la malinconia non sono nemiche da combattere ma compagne di viaggio di una vita che cambia e che assume riverberi di maturità (lo so, lo so, non sembriamo noi stessi, ma è solo l’età, tranquilli…).
E allora la fotografia e i piani sequenza di Shame assumono i tratti della vita. C’è luce e c’è buio. Non ci sono “stacchi di montaggio”. Ci sono silenzi. Ci sono scuse e ci sono errori. I ricordi non seguono un continuum temporale, ma si mescolano. E ciò che è accaduto dopo precede ciò che è accaduto prima in un mescolarsi di sensazioni che poco hanno a che fare col sesso o forse hanno tutto a che fare con il sesso. Perché se i francesi chiamano l’orgasmo la petite mort un motivo ci sarà. Non è solo per nazionalismo, non è come con ordinateur… Tutte le volte che facciamo sesso ci sono infinitesimali parti di noi che muoiono, perché le condividiamo con l’altro da noi. E per un solo fulgido (si spera…) istante diveniamo altro da noi, trascendiamo da noi. Insomma moriamo. Solo che nell’accezione di Brandon, la morte, l’orgasmo è utile solo ad estraniarsi da sé. A dipartire da se stessi. A smettere di essere noi.E’ il rinascere dopo l’orgasmo che fa la differenza. Ed è da quel bisogno di rinascita che scaturisce lo sguardo in macchina più doloroso della storia del cinema contemporaneo. Perché con quello sguardo Brandon ci chiede di aiutarlo a non perdersi. Ci chiede di tenerlo ancorato alla vita, all’amore, a se stesso. Ci chiede di non perderci… E noi non vogliamo perderci…