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Impegno e responsabilità: così il ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, presidente di turno dell'Ue, ha sintetizzato l'esito del vertice Ue/Balcani occidentali tenutosi a Sarajevo il 2 giugno, mentre il commissario europeo Stefan Fuele ha parlato di una nuova fase del processo di allargamento dell'Ue. Nella dichiarazione finale l'Unione conferma l'impegno per l'integrazione dei Balcani occidentali, sollecita i Paesi della regione a completare le riforme e indica loro le tre sfide principali da affrontare: implementazione di un vero stato di diritto, riforme amministrative e giuridiche, lotta contro corruzione e crimine organizzato. L'Ue promette, inoltre, il suo aiuto per superare la crisi economica favorendo uno sviluppo economico sostenibile. La dichiarazione sottolinea anche l'importanza della cooperazione regionale per completare il processo di riconciliazione. Tre, infine, gli impegni indicati da Moratinos: il primo per l'Ue, perché sostenga il processo di integrazione, il secondo per i Paesi della regione, perché proseguano nelle riforme necessarie, il terzo per la comunità internazionale nel suo complesso. L'ottimismo di circostanza non nasconde, però, che dieci anni dopo il vertice di Zagabria, che per la prima volta indicò la prospettiva dell'integrazione europea alla regione appena uscita da conflitti sanguinosi e devastanti, l'Ue si limita a ribadire che quell'obiettivo resta valido. Non è molto.
Sarebbe però sbagliato liquidare il vertice come un'occasione persa: nonostante i limiti, il summit è stato un successo da diversi punti di vista. Quello maggiore è certamente l'essere riusciti per la prima volta a riunire allo stesso tavolo tutti i paesi della regione, compresi Serbia e Kosovo, seppure con una soluzione di compromesso. E' importante, inoltre, che l'Ue abbia confermato la prospettiva dell'integrazione per i Balcani occidentali, così come il fatto stesso che il vertice si sia tenuto, nonostante la crisi, e si sia svolto proprio ora, dopo che negli ultimi mesi dalla regione sono venuti molti segnali incoraggianti. Anche la scelta di Sarajevo è significativa e sarebbe ingiusto liquidarla come una operazione di immagine. Infine, la partecipazione ufficiale della Turchia: un riconoscimento del ruolo svolto soprattutto negli ultimi mesi per la stabilizzazione e la pacificazione dei Balcani grazie ai suoi legami storici e culturali. Forse l’iniziativa turca non è del tutto autonoma, ma ispirata dagli Usa: di certo è guardata con interesse sia a Washington che a Bruxelles, senza contare che Ankara consolida le sue ambizioni di potenza regionale e guadagna punti nel negoziato di adesione all'Unione Europea.
In conclusione, novità importanti da Sarajevo non sono venute e nessuno se le aspettava: l’Ue, in questo momento di crisi, ai paesi balcanici non può offrire altro che la promessa della loro adesione. Tuttavia, avrebbe dovuto fugare il sospetto che non intende accelerare in questa direzione. Una prospettiva di integrazione indefinita nei tempi e nei modi finisce per offrire incentivi troppo deboli alle classi dirigenti dei paesi interessati che dovranno attuare riforme difficili e complesse, in qualche caso anche impopolari, e rischia di deludere profondamente le popolazioni che quelle riforme dovranno accettare. L'indecisione e le difficoltà a definire un percorso preciso per l’integrazione dei Balcani dipendono certo dalla crisi interna dell'Ue e dalla congiuntura internazionale, ma questo non può essere un alibi. I Ventisette non possono pensare di eludere il nodo balcanico all'infinito. L'Ue deve ancorare la promessa dell'integrazione a fatti concreti altrimenti, senza date certe e obiettivi chiari, il rischio è che i Balcani voltino le spalle all'Europa e preferiscano guardare in un'altra direzione: gli interlocutori interessati non mancano e le occasioni nemmeno.
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