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I banchieri di Dio

Creato il 25 marzo 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Dato il periodo che vede papi dimettersi e banche sull’orlo del precipizio forse è utile ricordare le vicende pubbliche e personali del presidente della banca che ha avuto il crack più grosso della storia italiana. In quebanchieri di Dioste righe cercheremo di parlare del film italiano forse più controverso degli ultimi quindici anni, basti pensare che non è stato mai trasmesso in televisione e quando è uscito nelle sale cinematografiche, marzo 2002, fu messo sotto sequestro dopo poche settimane e ne venne sospesa la proiezione. Il film “I  banchieri di Dio” del regista Giuseppe Ferrara, autore dal forte impegno civile, tra i suoi film ricordiamo “il caso Moro”, “Giovanni Falcone”, “Segreti di stato”, racconta gli ultimi anni di vita di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, e le sue operazioni spregiudicate con finanza vaticana, partiti politici, poteri massonici, servizi segreti e organizzazioni criminali. Il film è uno spaccato della storia politica e finanziaria italiana degli anni ’70 – ’80, tra bancarottieri, monsignori e faccendieri, si muove un oscuro personaggio, esponente della media borghesia, con 50 vestiti grigi uguali nel guardaroba, entrato come impiegato e diventato presidente di una delle banche cattoliche più importanti, arrestato nell’ ’81, condannato a 4 anni di reclusione e 15 miliardi di multa, poi fuggito all’estero e infine trovato impiccato nel giugno del ‘82 sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Dopo aver raccolto una enorme mole di dati ed informazioni non solo su Calvi ma anche sul Banco Ambrosiano, lo IOR, l’Opus Dei e la Massoneria, Ferrara si inerpica per le ripide pareti di un caso sul quale la giustizia italiana non ha fatto ancora oggi piena luce, nelle cui maglie è rimasto intrappolato anche il Vaticano. Un film nel quale c’è tutto: dalla loggia massonica P2, all’attentato al Papa, dai servizi segreti deviati, alla guerra delle Falklands. Ma non si possono certo raccontare 10 anni di storia politica ed economica italiana in poco più di due ore di film e purtroppo spesso ci sono una serie di dialoghi comprensibili solo a chi quegli anni li ha vissuti e ne conosce perfettamente i fatti politico-economici-sociali. In ogni caso va riconosciuto il merito e il coraggio di aver cercato di colmare un buco nero nella recente storia italiana, tra i punti di forza del film si riscontrano la capacità di sintesi di una materia complessa e intricata, un ritmo narrativo incalzante, in bilico sull’enfasi frenetica, la sagacia nel suggerire la sfida di Calvi impigliato nella rete dei poteri forti, legali e illeciti e la coinvolgente descrizione dei suoi rapporti familiari, specialmente con la moglie. Durante la sua vita, Roberto Calvi aveva sognato di essere un uomo influente. A capo del banco Ambrosiano, che egli aveva reso uno degli istituti finanziari più potenti d’Italia, aveva fatto la sua entrata nella “crème” del capitalismo italiano ed europeo. Lui, uomo mediocre e senza altra cultura se non quella dei numeri, entrò a far parte dei grandi di questo mondo. Il cupo e taciturno Calvi, chiuso tutta la giornata nel suo ufficio blindato, aveva accesso quasi diretto al Papa e conosceva molte persone. In Vaticano, nell’esercito, nella stampa, nell’industria, nella massoneria. Egli era, da solo, una potenza e si comportava come tale, regnando da autocrate sul banco Ambrosiano, intrecciando dei legami con figure ambigue della finanza e della politica, dandosi a manovre finanziarie di una complessità inaudita, causando alla fine la rovina della sua banca e la sua propria fine.

La sua storia è emblematica dell’Italia del dopo guerra, segnata da trucchi su grande scala ed incredibili collusioni d’interessi. Quando Roberto Calvi entra nel cattolico Banco Ambrosiano come contabile è in corso la trasformazione delle banca in istituzione che accetta i depositi, ma che detiene ugualmente degli interessi nell’industria e nella finanza. Calvi si mostra risoluto, dotato per le montature finanziarie, si occupa di mettere in atto le ambizioni del suoi padroni, acquisendo partecipazioni nei grandi gruppi italiani, intrecciando accordi con altre banche europee, procedendo addirittura ad un’acquisizione in Svizzera. Così ha inizio la sorprendente ascesa di Roberto Calvi, che lo condurrà alla presidenza della banca nel 1975. Calvi vuole inserire l’Ambrosiano nel grande flusso mondiale della finanza e metterlo al riparo da eventuali predatori istigati dalla sinistra italiana, si spiega così l’incredibile accumulo di società offshore create in Lussemburgo, alle Bahamas e in America latina. Queste permettono di operare trasferimenti di fondi in modo del tutto riservato e di assicurare l’autocontrollo della banca, dato che queste filiali comprano massicciamente delle azioni dell’Ambrosiano. Il tutto in flagrante violazione della legislazione in materia d’esportazione di capitali e di controllo dei cambi. Tre persone strettamente legate avranno un ruolo chiave nella costituzione di questo impero finanziario ai margini della legalità. La prima in ordine d’apparizione è Michele Sindona. Affarista siciliano molto ben introdotto negli ambienti finanziari milanesi, e che morirà avvelenato nella sua cella nel 1986, è un “habitué” del Vaticano di cui è diventato il consigliere finanziario ufficioso. Dotato per gli espedienti, egli lavora tra l’Italia e gli Stati-Uniti, dove tratta degli affari per dei finanzieri italo-americani, di cui alcuni appartenenti alla Mafia. A Calvi, che incontra nel 1968, Sindona offre una competenza in investimenti riservati e preziosi contatti nel mondo della finanza italiana. È lui ad aiutarlo a creare delle società di facciata nei paradisi fiscali. In cambio, Calvi sosterrà Sindona nei suoi affari italiani e americani. In breve, riciclerà il denaro sporco della Mafia. Il secondo personaggio è ancora più enigmatico è Licio Gelli. Quando Calvi lo incontra nel 1975, attraverso l’intermediazione di Sindona, l’uomo è il “venerabile” della loggia massonica P2. Creata nel 1877, essa raggruppa centinaia di persone tutte appartenenti all’élite dirigente d’Italia: militari, politici, membri dei servizi segreti, grossi industriali, grandi ecclesiastici, caporedattori di giornali. L’ex fascista Gelli, amico dei dittatori latino-americani, ossessionato dalla minaccia comunista, all’inizio  degli anni ’70, ha trasformato una banale loggia massonica in un vero e proprio Stato nello Stato. Con l’aiuto della CIA, che ha fatto dell’Italia una delle sue basi avanzate del suo programma “Stay Behind” con l’obiettivo di contenere l’espansione comunista in Europa, la P2 mette in atto manovre di destabilizzazione con vari fini. Le manovre culmineranno in molteplici tentativi di colpo di Stato e poi nell’attentato della stazione di Bologna nel 1980 che causerà 85 morti. Per Gelli, Calvi, iniziato alla P2 nel 1975, è una recluta scelta. Egli metterà in effetti i suoi mezzi finanziari al servizio della “causa”, finanziando partiti politici, industriali e giornali di destra. È proprio tramite Gelli che Calvi assumerà il controllo occulto del giornale “Il Corriere della Sera”, messo al servizio della “strategia di tensione” che mirava ad allontanare la sinistra italiana dal potere. Il terzo uomo è l’arcivescovo Paul Marcinkus. Membro della loggia P2, fu nominato da Paolo VI capo dello IOR, l’Istituto per le opere religiose, la “banca del Vaticano” incaricata della gestione dei conti degli ordini religiosi e delle associazioni cattoliche. Sotto la sua direzione e con la benedizione del Papa, ansioso di dotare il Vaticano di mezzi finanziari all’altezza delle sue ambizioni, Marcinkus intraprese la trasformazione dello IOR in una struttura di gestione di attivi e di attività e partecipazioni in Italia e nel mondo. In questa missione, egli beneficiò dell’appoggio di Sindona che lo aiutò a sbarazzarsi di investimenti poco redditizi. È sempre attraverso Sindona che fu messo in contatto con Calvi. Alla ricerca di investimenti riservati e fruttuosi, lo IOR divenne molto rapidamente uno dei principali partners dell’Ambrosiano, poi il suo primo azionista. In cambio dell’appoggio finanziario dello IOR, l’istituzione di Roberto Calvi finanziò, tra l’altro, il sindacato polacco Solidarnosc e la guerriglia dei Contras in Nicaragua.

Il quartetto Calvi, Gelli, Sindona, Marcinkus durante tutti gli anni ’70 operò vasti trasferimenti di fondi tra l’Italia e i paradisi fiscali. Tra le altre operazioni, trasformarono lo IOR in un crocevia internazionale di operazioni illecite che spaziavano dal riciclaggio di denaro sporco di provenienza mafiosa all’evasione fiscale e all’esportazione di capitali all’estero, fino alla raccolta e alla distribuzione di tangenti a favore del mondo politico. Tuttavia all’inizio degli anni ’80, la gestione rischiosa e solitaria di Calvi, la cui banca aveva concesso ingenti prestiti alle sue filiali offshore per effettuare investimenti in gran parte segreti, iniziò seriamente ad incuriosire la giustizia italiana. Ironia della sorte, fu Sindona, furioso per non aver beneficiato dell’appoggio finanziario di Calvi durante uno scandalo scoppiato negli Stati Uniti, a mettere in moto il meccanismo che finirà con l’esplosione dell’Ambrosiano. Nel 1977, il finanziere siciliano orchestrò in effetti una campagna d’affissione notturna nelle vie di Milano denunciando le manovre di Calvi e i dirottamenti da lui operati. Il meccanismo di distruzione era stato messo in moto e in cinque anni il sistema crollò.

In questo periodo (quello descritto dal film), rintanato nel suo ufficio o nella sua villa, Calvi cercò di parare i colpi. All’inizio ci riuscì, facendo forse da mandante nell’assassinio del magistrato incaricato del dossier e riuscendo a bloccare un’inchiesta della Banca centrale. Però nel 1980, in seguito a una lunga ispezione della Banca d’Italia all’Ambrosiano, Calvi venne inquisito per sospetta esportazione di valuta e si vide ritirare il passaporto. Alla disperata ricerca di denaro, si avvitò in rischiose operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Il 20 maggio 1981 Calvi venne arrestato per esportazione illecita di capitali e rinchiuso nel carcere di Lodi. Contro il provvedimento della procura protestarono in Parlamento il segretario del Psi Bettino Craxi e della Dc Flaminio Piccoli. Processato in luglio insieme ad altri amministratori dell’Ambrosiano e della Centrale, Calvi fu condannato a quattro anni. Dal carcere lanciò messaggi criptici che suonarono come ricatti, emblematico il suo “Questo processo si chiama IOR”. Il 20 luglio ottenne la libertà provvisoria. Ma “la vicenda della Banca d’Italia” non era che la punta dell’iceberg. A partire dal 1981, la morsa si strinse. Abbandonato dai suoi amici politici, privato dell’appoggio di Sindona, arrestato negli Stati Uniti nel 1979 per frode e complicità in assassinio, abbandonato anche da Marcinkus (protetto ora da Giovanni Paolo II) che rifiutava di prestare ogni aiuto finanziario all’Ambrosiano, Calvi assiste, impotente, all’affondamento del suo impero. Tra l’altro in quel periodo in Vaticano si fronteggiavano aspramente due fazioni politiche contrapposte: una, massonica-moderata che faceva capo ai cardinali Casaroli, Samorè, Silvestrini e Pio Laghi, e l’altra, integralista, legata all’Opus Dei che faceva capo a Marcinkus, a Mons. Virgilio Levi, vice direttore dell’”Osservatorio Romano”, e Mons. Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l’ONU. Il 5 giugno 1982 Calvi scrisse una lettera a Giovanni Paolo II nella quale afferma di essersi preso carico “del pesante fardello degli errori e delle colpe commesse dai rappresentanti attuali e passati dello IOR”. Poi la fuga e la morte sotto un ponte del Tamigi. Lasciò un buco di 1,4 miliardi di dollari nel banco Ambrosiano e di 250 milioni di dollari nelle casse dello IOR. Vicino ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars, si chiuse il più grande scandalo finanziario della Storia d’Italia. Una vicenda che è lontana dall’averci rivelato tutti i suoi segreti. Suicidio di un uomo logorato e braccato? O assassinio? Molto presto si delineò l’idea che Roberto Calvi fu in realtà liquidato per impedirgli di parlare. Ma da chi? Dal Vaticano, legato al banchiere da legami tanto sulfurei quanto oscuri? Dalla Mafia, di cui il banco Ambrosiano gestiva i fondi? Dalla loggia P2, questo vero e proprio Stato nello Stato e di cui il defunto conosceva quasi tutti i segreti? Dai servizi segreti italiani? Nell’ottobre 2005 la giustizia ha riconosciuto che Calvi è stato assassinato, probabilmente attraverso un accordo con la Mafia, “per impedire un potere ricattatorio verso i referenti politico-istituzionali della massoneria, della loggia P2 e dello IOR di cui aveva gestito alcuni investimenti”. Cinque persone sono state accusate tra cui un ex-cassiere della Mafia. Una vera e propria coalizione d’interessi oscuri destinati a far tacere un uomo divenuto all’improvviso pericoloso. Quella di Calvi fu solo l’ennesima morte di un lungo periodo buio della storia italiana che facciamo ancora fatica a nominare e ricostruire, la storia degli affari illeciti in cui agivano finanza laica e cattolica, politica, massoneria, servizi segreti deviati, mafia e altre organizzazioni criminali e dove nessuno rimase illeso, nemmeno  il Vaticano.  A Ferrara il merito di aver girato un film su una storia che aveva interessato già Gianmaria Volontè e Francis Ford Coppola , un film più volte bloccato per i mancati finanziamenti,  una storia che ancora oggi deve essere tenuta sopita. Ogni episodio del film quindi ripercorre fedelmente fatti e situazioni realmente avvenuti, tra cui i momenti di vita privata del Papa Giovanni Paolo II, che “non viene mostrato mai in volto per rispetto”, come recita una didascalia iniziale, parecchie scene sono accompagnate da sottotitoli che riportano fedelmente alcuni passi delle ordinanze di custodia cautelare, dimostrazione di serietà e obiettività con cui l’autore ha voluto fare cronaca su una vicenda estremamente delicata. Come detto nell’aprile 2002 “I banchieri di Dio” fu messo sotto sequestro su denuncia di Flavio Carboni, il faccendiere interpretato magistralmente nel film da Giancarlo Gianni, introdotto negli ambienti della politica, del vaticano, della mafia, della banda della magliana, uno dei cinque accusati della morte di Calvi e balzato di nuovo agli onori della cronaca nel 2010 per le inchieste sulla P3. Il film dopo il sequestro è stato riconosciuto d’interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano.



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