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I beati anni del castigo

Creato il 29 ottobre 2010 da Valed @valentinadoati
Teatro Piccolo Studio"I BEATI ANNI DEL CASTIGO"di Fleur Jaeggyregia di Luca Ronconicon Elena Ghiaurov, Federica Rosellinivisto il 23 ottobre 2010
Sono da sempre schierata tra i più convinti anti-ronconiani. Anzi, questo regista suscita delle vere e proprie invettive contro la recitazione illogica dei suoi attori, contro la lunghezza estenuante (che spesso sembra immotivata) dei suoi spettacoli, contro lo spreco del denaro pubblico investito per realizzare i suoi trastulli scenografici (che spesso sono il solo elemento memorabile dei suoi allestimenti); insomma contro il fatto che di tutti gli elementi che costituiscono il teatro (autore, testo, attore, pubblico e in ultimo - perché arrivato per ultimo - il regista) Ronconi salva solo il regista: tutto il resto sembra perdere di significato sotto le sue mani decostruttrici. L'impressione è che, dopo gli anni della ricerca di cui nessuno nega il valore, Ronconi si sia assestato nella citazione di se stesso, rimanendo chiuso in una forma che è sempre la medesima e che non assolve alla funzione primaria del teatro: comunicare al pubblico, con il pubblico."I beati anni del castigo" no, non è affatto autoreferenziale. Questo spettacolo comunica con il pubblico.Si tratta di un monologo atipico: l'io narrante, donna adulta, ripercorre gli anni del collegio e della giovinezza vissuti nell'intensità del rapporto di amicizia con la compagna di collegio; una presenza muta, questa, ma talmente energica che risulta efficace più della parola.La scena è spogliata di qualsiasi "trastullo" scenografico: è nuda, di un biancore luminosissimo quasi violento che fa da manicheistico contraltare alle oscure emozioni che animano le protagoniste. Lo spazio si astrae da qualunque connotazione quotidiana per universalizzarsi in un luogo dell'anima.I minimali oggetti di scena (due sedie e un tavolino a margine della scena) e i costumi senza alcuna connotazione temporale che coprono le varie sfumature pastello dei grigi e dei beige, si stagliano su questo bianco nauseante creando immediatamente un'impressione di rigore, nitidezza, misura, eleganza, che permane per tutto lo spettacolo. Tutto è concertato in maniera precisa, chirurgica. La protagonista analizza in maniera autoptica le emozioni del passato: un percorso che deve necessariamente spogliarsi di qualunque trasporto emotivo per arrivare alla comprensione attraverso il distacco oggettivo.E' questa motivazione interiore a rappresentare l'intenzione che giustifica quella recitazione altrove definita illogica, qui mai sembrata tanto ricca di senso. Merito dell'attrice rendere così corrispondenti le parole alla vita interiore del personaggio: Elena Ghiaurov tiene inchiodati, affascina con la sua capacità di portare lo spettatore dentro a questa storia in cui le cose importanti non vengono dette ma si leggono chiaramente tra le righe di un gesto, di uno sguardo. La sua recitazione riesce a esprimere chiaramente le motivazioni interiori di ogni singola parola: in ogni pausa, in ogni accento, in ogni tono la Ghiaurov dà espressione verbale precisa a un'emozione percepita chiaramente.  Prima di vedere lo spettacolo avevo ascoltato un'intervista a Ronconi in cui affermava che "quello che conta in teatro è la parola, le immagini sono secondarie". Con questo spettacolo si offre un'altra interpretazione al Teatro di Parola, e ci ricorda che la bellezza dell'arte è esprimere secondo differenti stili uno stesso principio.
Al Piccolo Studio fino al 31 ottobre 2010.

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