Magazine Cultura
Perché il mondo non finirà il 21 dicembre 2012
di Greta Fogliani
Gli antichi Maya possono essere considerati come una civiltà per certi versi paradossale, secondo il nostro punto di vista. Se nelle attività pratiche erano un “disastro”, nelle materie teoriche erano invece dei veri geni: non seppero mai cos’era una ruota, eppure erano in grado di disegnare una carta astronomica; non erano capaci di pesare un sacco di granoturco, ma riuscirono a calcolare il computo di milioni di anni.
Una ragione plausibile per spiegare questa “aberrazione mentale”, come la definisce J. E. S. Thompson, uno dei più grandi studiosi di questa civiltà, si può trovare nell’interesse principale dei Maya: il tempo. Più che interesse si potrebbe chiamare quasi ossessione. I Maya non solo erano affascinati dal continuo trascorrere delle giornate e dall’eternità del tempo, ma arrivarono a fare del computo dei giorni un perno della vita quotidiana. Ogni giornata aveva un significato religioso, tant’è che i membri della comunità regolavano le proprie mansioni a seconda del tipo di giornata. I giorni, infatti, erano concepiti come vere e proprie divinità, che favorivano oppure ostacolavano determinate attività. Ognuno, quindi, doveva conoscere con precisione i giorni favorevoli e i giorni nefasti per avere il favore degli dèi.
A dimostrazione che il computo del tempo era la preoccupazione principale di questo popolo è il fatto che i Maya non avevano un solo calendario, ma due: lo Tzolk’in e l’Haab.
Lo Tzolk’in, il calendario più antico della Mesoamerica (probabilmente di origine olmeca), determinava il ciclo rituale che serviva per le funzioni religiose. Il suo nome deriva da Tzol, “conto”, “ordine dei giorni” e K’in, ossia “giorno”, e quindi significa letteralmente “conto dei giorni”. In tutto, lo Tzolk’in era composto da 260 giorni e si basava su altri due cicli, più brevi: uno composto da cifre da 1 a 13 e un altro composto da 20 giorni. Dunque i nomi dei giorni dello Tzolk’in si componevano premettendo un numero dall’1 al 13 al nome di uno dei 20 giorni. A ognuno dei 20 giorni corrispondeva un glifo, legato alla divinità che patrocinava quella determinata giornata. Questi 20 giorni erano:
1. Imix, il primo giorno del calendario rituale, era dedicato a una divinità femminile, probabilmente una dea madre della fertilità.
2. Ik’, il nome del secondo giorno, significa “vento”. Questa giornata era connessa con la pioggia fertilizzante che permetteva la nascita del mais, ma era legata anche al dio del vento Kukulkan, inteso come soffio vitale, spirito e voce.
3. Ak’bal, il terzo giorno, era associato alla notte e a esseri legati a questo momento della giornata, come il dio giaguaro, che rappresentava il cammino notturno del sole, e il serpente.
4. K’an, il nome del quarto giorno, etimologicamente significa “corda”, ma nel glifo di questo giorno compare un chicco di mais. Questo perché il glifo indicava anche Yum Kax, il giovane dio del mais, simbolo di abbondanza.
5. Chikchan, quinto giorno, rappresentava il serpente piumato e il pianeta Venere, concepito come stella del mattino.
6. Kimi, il sesto giorno, era patrocinato dal dio della morte Yum Cimil ed era associato anche all’uccello Muan e ad altri volatili malauguranti.
7. Manik’, il settimo giorno, simboleggiava il cervo, poiché la divinità che presiedeva a questo giorno, Buluk Chabtan, era il dio protettore della caccia e del sacrificio umano, che si presentava proprio sotto forma di cervo. Nel Popol Vuh, il testo mitologico più importante della tradizione maya, tale divinità corrisponde a Tohil, connesso con la caccia, la concia delle pelli e ai sacrifici di sangue.
8. Lamat, l’ottavo giorno, nel glifo presenta una stella, forse Venere. La sua simbologia era connessa al coniglio e a Venere, ma non si conosce con precisione la divinità a esso associata.
9. Muluk, il nono giorno, significa “giada”, pietra simbolo dell’acqua e connessa con una figura mitologica, Ah Xoc. Ma il patrono di questo giorno è Kinik Ajaw, “faccia di sole”.
10. Ok, il decimo giorno, si collocava alla metà di uno Winal, una ventina, che era un completamento di un ciclo di 20 giorni. Il nome significa “cane”, ed era dedicato a una divinità infera che accompagnava i morti nell’aldilà dei Maya, chiamato Xibalbá.
11. Chuwen, nome dell’undicesimo giorno, significa “scimmia”, animale che rappresentava Ah Chicum Ek, la dea della stella polare che proteggeva gli scribi e gli artisti. Si trattava di una divinità doppia, raffigurata anche come una coppia di gemelli che dipingevano, intagliavano, scrivevano o si dedicavano ad altre attività artigianali.
12. Eb, dodicesimo giorno, era ritratto come un teschio, simbolo della pioggia. Eb era dedicato a una divinità nefasta, probabilmente Ixchel.
13. Ben, il tredicesimo giorno, era collegato al dio del mais che protegge la pianta nella prima fase di crescita.
14. Ix, nome del quattordicesimo giorno, deriva da un termine arcaico che indica il giaguaro.
15. Men, il quindicesimo giorno, era raffigurato come una testa di aquila o di un altro uccello rapace ed era associato alla fase decrescente della luna. Forse era anche collegato alla dea dell’arcobaleno, Ixchel.
16. Kib, sedicesimo giorno, ha un nome che potrebbe significare “gufo”, ma era dedicato al dio delle api, che garantiva una produzione abbondante di miele.
17. Kaban, diciassettesimo giorno del calendario, corrispondeva alla testa di una giovane dea della terra, associata anche alla fase crescente della luna, al coniglio, alla fecondità e al mais.
18. Etz’nab, termine che designava il diciottesimo giorno, significa “coltello di ossidiana”, l’arnese che si usava nei sacrifici umani e negli autosacrifici.
19. Kawak, diciannovesimo giorno del calendario, era rappresentato da nuvole poiché il nome significa “pioggia” o “tempesta”. Probabilmente la divinità che patrocinava questo giorno portava piogge e temporali distruttori, opposti alle piogge fertilizzanti.
20. Ajaw, l’ultimo giorno del calendario rituale, rappresentava il volto del signore del sole. L’etimologia del nome rimanda a “re”, “signore”, titolo che veniva usato anche per rivolgersi ai sovrani, ai sacerdoti e alle divinità. Questo giorno era dedicato a Itzamna e a una divinità solare, Kinik Ajaw, ovvero un’altra forma di Itzamna.
In teoria il computo dei giorni dovrebbe partire da 1 Imix, ma secondo il conteggio mitico il primo giorno dello Tzolk’in, cioè il giorno in cui tutto ebbe inizio, è 4 Ajaw. Da quest’ultima data parte anche il computo delle ere maya, quello che viene chiamato il “conto lungo”. 1 Imix, invece, è il giorno di partenza del calcolo delle ventine, chiamate Winal.
Ogni giorno che passa, entrambi i cicli avanzano di uno: avremo dunque 1 Imix, 2 Ik’, 3 Ak’bal, ecc., fino ad arrivare a 13 Ben. Da questo punto in poi la numerazione riparte da capo, ma non accade lo stesso per il nome dei giorni; si proseguirà dunque con 1 Ix, 2 Men, 3 Kib fino a 7 Ajaw. Dopo, i nomi dei giorni ricominceranno da 8 Imix, mentre la numerazione proseguirà, e così via. In questo modo, ogni giorno assume tutte le volte che si presenta un numero diverso da 1 a 13 secondo una sequenza sempre uguale: 1 – 8 – 2 – 9 – 3 – 10 – 4 – 11 – 5 – 12 – 6 – 13 – 7 – 1 – 8 ecc.
Di conseguenza, il lasso di tempo che passerà tra due giorni che presentano lo stesso numero e lo stesso nome sarà equivalente al minimo comune multiplo tra 13 e 20, cioè 260 giorni, ovvero un intero ciclo Tzolk’in.
Questo calendario era importante anche per registrare le date di nascita delle persone della comunità, annotate proprio secondo lo Tzolk’in. A seconda del giorno in cui un individuo nasceva, si poteva capire quale sarebbe stato il suo destino. Dunque i Maya credevano che le caratteristiche di quel dato giorno e della corrispondente divinità protettrice influissero sulla vita dell’individuo, un po’ come il nostro oroscopo basato sui 12 segni zodiacali.
Oltre allo Tzolk’in, però, i Maya avevano un altro calendario, che era legato al ciclo delle stagioni e del sole: l’Haab. Ne parleremo domani, pubblicherò la seconda parte dello scritto di Greta.
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