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I can almost see you

Creato il 02 marzo 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

In una città qualsiasi, dentro un cielo monotono e discreto, ci sono giorni che vorresti non attraversare, quando l’unica cosa che stavi macinando, erano i tuoi passi svogliati dentro una libreria.

Mano nella mano, un incrocio perfetto, con la Lei che hai deciso prontamente facesse parte del tuo tempo, in uno dei gesti che attirano l’altrui sguardo e che tu mostri fiero, come si mostra uno status concreto, un biglietto da visita che accelera sicurezza.

Guardi gli occhi estranei e ti perdi in quella fierezza di chi è consapevole di aver fatto la cosa giusta, di aver giocato la partita dell’anno, tu e lei, non ci sono molte parole che necessitano aggiunta.

E quella routine del sabato sera, come a regalarti un’eco di canzoni riascoltate in accanimento acustico per dirti in semplicità e convinzione, sono felice, anche se  quest’ultimo dettaglio non sembra aver bisogno di replica, l’hai portato a casa quel tuo sogno di coppia perfetto, ora attenditi tutto il resto che rimane.

L’odore della carta nuova è uno di quegli odori che fa parte del tuo DNA. Non lo puoi evitare perché sei tu a cercarlo, sei tu che varchi le porte dei luoghi che te lo riportano e ormai hai incamerato il suo ricordo, l’hai fatto tuo.

Stonato, pervaso, continui a stringere quella mano come àncora irrinunciabile e brami dei suoi capelli che si muovono con l’ondeggiare dei passi…sembra che tutto vada da copione, quello che hai letto nelle tue notti amiche e che non vuoi che il dito scorra il rigo del finale.

Distratto, ma non in contagio assoluto, ti muovi rapace e Lei con te, ma la tua vista non segue i tuoi ordini e viaggia da sé, e incontra la sagoma lontana e divisa da scaffali libracei, la Tua Sagoma.

Non colgo l’attimo preciso in cui i miei occhi hanno riconosciuto la sinuosa forma dei Tuoi fianchi, il contorno delle Tue guance, e hanno già sposato, con un rito a me segreto, la luce dei Tuoi occhi.

Eri li, ferma, con i piedi che suppongo si muovessero perché comandati dalla musica che eri in sequenza di ascoltare, il Tuo sguardo afono e perso alla ricerca di qualche tua voglia letteraria, supina ma composta, sempre bella.

Non ho sentito neppure il tocco che il destino, in minuziosa celerità, affondava sotto il mio pullover, quel battere cantilenante di chi ti sta tirando dei pizzichi fastidiosi e sgraditi, mentre percepisci un sudore che traspare invisibile e che hai il terrore venga percepito dalla mano di Lei che non smetti di afferrare.

Ma quella presa, impercettibile, sembra di colpo allentarsi, e se appare solo una trasparente illusione, quella presa non ha il colore e la carne dell’attimo prima di vederTi, quella presa è risalita repentina e  si è saldata sul mio cuore.

Evitare che qualcuno si accorga di quella distrazione, inevitabile perdita di equilibrio emotivo, non attendevo la Tua venuta, Io, che sono stato un chirurgo nel cancellare il Tuo corpo impresso tra le mie flebili mani.

E Tu eri ancora li, e non ti curavi di tutti gli uomini che accarezzavano veloci e annoiati il tuo raggio di azione, non ti curavi di chi era posato di fronte e impegnato nelle tue medesime gesta, non ti voltavi a capire se il mondo stava subendo un sussulto, se io stavo soffrendo uno Shock.

Perché il solo tenerti li, distante, distratta Tu, non aiutava il mio corpo a prendere una dignità così tanto conquistata, perché Tu sei l’unica in grado di negare al mio fisico qualsiasi forma di controllo, e non solo.

Hai ripreso possesso delle cose che non sono riuscito a darti. Mentre ti guardo ecco che si manifesta la nostra ipotetica vita non morsa, non saziata.

Per una mia incapacità, una mia codardia, un mio stupido modo di proteggere me stesso dal tuo essere così dannatamente portatrice di confusione.

Confusione, un fortissimo vento che non ho voluto baciare, una pioggia che non ho mai voluto incontrare e sfidare, un sole dal quale ho sempre cercato un precario rifugio.

Tu, e il tuo mondo di sogni e verità. Tu, e i tuoi occhi che mi raccontavano un cinematografo fatto di corse sulle spiagge casalinghe, di vino aperto e bevuto senza vergogna o riserbo, di poesie lette dentro i treni che ci avrebbero portato ovunque i nostri desideri avrebbero comandato alle nostre finanze, su tutti i prati che avremmo scoperto, o dietro ai vicoli in cui avremmo consumato ogni peccaminosa parola mescolata a ogni amarsi bruciato come due ladri di letto.

Tu e quell’insopportabile energia che scompigliava quell’ordinaria esistenza che avevo dipinto su ogni singolo attimo di calendario, perché si è stupratori di ogni buon senso quando si ragiona con una falsa e stridente razionalità.

Non ho scelto il tuo profumo al Melograno, il tuo rimmel lasciato tra i tavolini dei nostri tanti e testardi caffè, il tuo modo di fumare che non aveva una storia, per quanto potessimo inventarla, il tuo sorriso sornione di chi vuole farmi perdere in una vita che non conosce eccezioni.

Non ti ho scelto, perchè ho voluto applicare pazzia ai tuoi modi di fare così straordinariamente perfetti, da fare paura, perché ho chiamato follia una mia incapacità di lasciarmi andare, perché ho scampato il rischio di farmi stravolgere il mio quadretto concluso, da chi invece poteva concedermi solo primavere di felicità.

Perché ho fermato un vagone che pensavo avesse quel nome, che pensavo potesse portarmi nella città amica ma ho sbagliato binario, e non ho afferrato te, che saresti scesa dal treno giusto, dandomi l’idea e il sangue di quelle che sono le vere fattezze della parola Amore.

E tenevo quella presa, quella mano che odorava di cancrena e di vaniglia ammuffita, di quel rapporto che stava decomponendosi mentre cercavo, goffo, di rimanere sul pezzo e di non concedere a Lei il mero dubbio del mio fallimento emotivo, con Lei.

Non si può tornare indietro, anche al netto di tutte quelle notti sviscerate a domandarmi dove la luna dovesse battere il suo severo chiarore, dove le carte dovessero dispiegarsi e indicarmi che stavo perdendo Te, stavo perdendo la leggerezza, l’afflato della tua risata vivace, l’euforia dei tuoi pensieri, la forza delle tue parole, il candore di ogni tua stretta, l’energia che la tua presenza avrebbe rinvigorito e sciolto ogni mio sbaglio, ogni mia caduta, ogni mia debolezza.

Debole io, che corro con accurati ma altrettanto sbadati slalom tra quello che è giusto e quello che è rischioso fare, tra quello che è pura adrenalina emotiva, pura vita senza compromessi, e noiosi autoconvincimenti di procedere verso speranze di stabilità.

Ma tutti i compromessi possibili sono suggellati proprio nel concedermi questa vita partorita al tuo fianco, ora che riaffiorano tutte le volte che potevo essere Tuo, e ho preferito rimanere fermo e percorrere vie scadute e sicure.

Non si può tornare indietro, mentre continuo a fissare Te come se dovessi scattarti una fotografia concepita per imprimere tutta la tua meravigliosa essenza dentro le mie arterie bruciate dall’ inganno che ho compiuto e che ora mi presenta il conto.Come se una forte scossa di consapevolezza avesse interrotto ogni mia cecità e mi avesse ridato una vista decente, Io che maledico me stesso e il momento in cui ho deciso di non portarti con me.

E da lontano Tu continui ad essere bella, di una bellezza acerba e inconsapevole, di un mistero stellato, come se la notte fosse la tua genitrice, come se fossi nata da un tulipano selvaggio e continuassi a rinascere giorno dopo giorno.

Tu continui a non vedermi da lontano perché sei persa tra le tue romanticherie e i tuoi pensieri che si muovono con ali d’incanto, fiera come un’imperatrice, in tutti i tuoi tarocchi quotidiani, mentre io sono qui, lento, confuso, con quella viltà che smaschera ogni mia finzione di sicurezza, con il mio mancato coraggio e il mio orgoglio disumano.

Tengo Lei per mano, la stringo come se chiedessi aiuto senza alzare la voce, strozzandolo in gola, deglutendo e cambiando direzione, nel tentativo di scappare da quei fantasmi ingombranti di giorni di cui non potrò mai raccontare.

È accanto a me la donna che ho tradito nell’attimo preciso in cui non ho più staccato i miei piccoli fari dalle tue ossa, la ragazza che ho scelto, che ho continuato a scegliere nonostante i buchi allo stomaco, gli attacchi di panico, la voglia di fuggire, il senso di nausea e il bisogno di posizionare la mente altrove, quella ragazza mi sorride incurante di ciò che sta accadendo e della lenta fine del film in cui mi illudevo di volerla come protagonista.

Non si può tornare indietro, anche se tutto quello che vorrei, se solo non mettessi il consueto freno a mano sulle emozioni, sarebbe svincolarmi da questa presa soffocante, mandare al diavolo Lei, magari chiederle ipocritamente scusa, spostare scaffali che ingombrano le sequenze dei miei desideri ormai liberi, procedere verso di te, afferrarti, guardarti e dirti, Non è tardi e adesso ti ho presa.

Non si torna indietro, e non ti resta che scappare via, fuggire, fartene una ragione, perché non è un processo reversibile, devi scontare la tua scelta che si sta atteggiando a prigione, e sperare che prima o poi la memoria perda quella linfa che mi ha reso schiavo del Tuo ricordo, e mi renda finalmente freddo, malinconico e diversamente felice. 

Non si torna indietro……..

O forse no.

E posso quasi vederti.


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