di
Giuseppe Casarrubea
Nerone
Dopo otto mesi dalla presentazione di un circostanziato esposto, corredato da diverse testimonianze e documenti, alcuni giornalisti e deputati della destra nostrana, si sono accorti che la magistratura starebbe indagando su qualcosa di inesistente.
Peccato che ad amministrare la giustizia non abbiamo giornalisti che dovrebbero cambiare mestiere e che invece sono lì, al soldo, impegnati a creare polveroni, ad alzare cortine fumogene, a provocare frastuoni, a rovesciare la verità dei fatti. Sono iscritti a un ordine professionale di chissà quale Albo, si proclamano redattori o scrittori e il loro mestiere, antico come certi altri poco nobili, è solo quello di confondere le acque, di intorbidirle, di seminare zizzania. Meglio: di abbaiare come mastini o cani da combattimento, addestrati come sono, da piccoli, ad azzannare il prossimo.
Le loro principali prede sono i magistrati e tutti quelli che la pensano diversamente da loro. Li attaccano perché nutrono un accanito astio contro la verità e immaginano che se il loro potere deterrente fosse abolito, aumenterebbe quello dello Stato che loro vogliono morto. Perciò hanno una direzione d’attacco unanime e compatta: abolire l’ordine costituzionale, ridurre il Parlamento a tappezzeria e la magistratura al silenzio. L’unico potere che accettano è il governo dove, a loro modo di vedere, risiede la culla del nuovo ordine costituzionale che li chiama ai loro scranni, ai quali si attaccano come l’edera. Dove c’è qualcosa da spolpare lì ci sono loro con le loro ganasce ben salde.
Questi signori che non hanno bisogno di dentiere, abituati come sono a mangiare e digerire anche le pietre, sono i trombettieri di Nerone. Suonano mentre Roma si incendia e il popolo dei piromani applaude o se ne sta a guardare ritenendo di essere nel mondo migliore possibile.
Contro i magistrati dicono di tutto: che amano “il clamore delle telecamere”, inseguono fantasmi e teoremi, indagano sui morti del medioevo o che perdono tempo che potrebbero dedicare ad acciuffare i criminali. Però, se queste toghe si muovono contro chi ha trasformato il potere democratico in una specie di bordello, apriti cielo! I nuovi orchestrali di questo drammatico palcoscenico gridano alla violazione della privacy, accusano di far parte della nuova casta delle “toghe rosse”, dei comunisti che hanno scoperto che possono usare la magistratura per andare al potere. Ecco allora chi sono i magistrati: gente che non si occupa di fatti concreti ma di misteri, di gialli. Persecutori dei cittadini per bene, privati del loro diritto di fare a casa loro quello che più li aggrada. Come se ciascuno a casa sua possa fare quello che vuole: preparare bombe ad orologeria, stuprare le giovani che vi si recano in visita, rubare il portafoglio degli ospiti e via dicendo.
In questo Paese che è l’Italia smidollata ormai si può dire tutto, abituati come siamo a vedere camminare le persone capovolte. Se ogni tanto qualcuno si regge a terra sui suoi piedi, lo prendiamo per pazzo e lo confiniamo sulla Luna, dove la letteratura inviava, con la fantasia dei poeti, il senno perduto degli uomini.
Così succede con la vicenda di Giuliano, rispetto al quale i magistrati hanno ipotizzato il reato di sostituzione di cadavere, e con l’esame del Dna disposto, grazie a Dio e dopo sessant’anni, dai magistrati di Palermo. Checché ne pensino certi giornalisti prezzolati per i quali le stragi si cancellano con il tempo e i reati è meglio se rimangono impuniti. Anche quelli più atroci. Frutto della fantasia.
Continuando di questo passo ai nostri figli insegneremo solo la storia degli ultimi dieci anni e, ad essere benevoli, quella che arriva dove si spinge la nostra memoria corta. Che valore ha, infatti, sapere che il nostro Stato repubblicano e democratico è nato nella continuazione del fascismo che ancora ci pervade? Che i morti di Portella della Ginestra o di Brescia non hanno ancora mandanti? E a che serve riscoprire i valori tradizionali del nostro essere cittadini di una nazione che professa gli stessi valori comuni da Trento a Trapani se non abbiamo più il senso della giustizia?
Trasparenza
Abituiamoci, dunque, ad avere a che fare, sempre di più con una nuova classe di giornalisti smidollati che come pappagalli cantano le lodi del loro imperatore Nerone mentre Roma brucia. E’ gente che non vede e non vuole vedere, abile nel fare questioni di lana caprina, urlando a più non posso. Ama il torbido perché, come dice un proverbio siciliano, dove c’è sporco c’è da pigliare. E l’importante è arraffare e che si levino di davanti ai piedi i familiari delle vittime che reclamano, verità e giustizia. Questi signori pensano che rispetto alle ipotesi di reato, i magistrati meglio farebbero a non indagare e a starsene tranquilli. Per loro sostituire un cadavere è robetta da nulla e, quasi un peccatuccio veniale. Dati i tempi che corrono, per simili professionisti della penna, alcuni delitti, anche gravi, devono essere derubricati dal codice penale e se a qualcuno salta in mente di denunciarli o di chiedere che sia accertato se hanno un fondamento, è meglio lasciarlo morire nel suo brodo. A questa sterpaglia auguro che gli capiti di peggio e che tutto il peggio, si possa moltiplicare per mille. Che siano travolti da una valanga di malanni in modo irrimediabile. Cosi possano una volta nella vita o nelle generazioni future, capire. Una volta per tutte. Ne abbiamo le scatole piene.
Perchè questa gente odia che si parli di Giuliano, dopo sessant’anni? Così si rivolgono al comune paziente mortale: – hai degli elementi che ti inducono a ritenere che ci sia stata una sostituzione di cadavere? Stai zitto. Tieniti per te il cattivo pensiero. Poco importa se il presunto morto-vivo in questione sia un tizio che ha sulle spalle quattrocentoundici omicidi, una dozzina di stragi e centinaia di altri delitti costati alla società siciliana decenni di lutti e di sangue e allo Stato centinaia di soldati caduti e svariati milioni di lire in spese varie.
Siamo al punto che chi rivendica giustizia e verità deve tacere. C’è un gioco perverso da intelligence sotto. Sta venendo su una bella categoria di giornalisti disinformatori che attribuiscono chissà a chi la colpa dei loro sproloqui e della loro ignoranza. Per taluno di loro, la parola fine sulla nostra storia passata l’ha scritta un fotoreporter morto suicida e che risponde al nome di Tommaso Besozzi. Così abbiamo i pappagalli di questo grande market dove chi entra sente la solita musica accattivante. E compra, preso dal ritmo, da indefniti impulsi, come le galline che pare facciano più uova. Ora io direi a pennaioli del genere: Scrivete quello che volete ma non lamentatevi che nessuno vi ha mai spiegato bene le cose. L’ignoranza è ascrivibile solo a voi stessi. Leggete di più. Studiate. L’errore in buona fede vi può essere perdonato, il falso no.
La Procura di Palermo, al tempo del Procuratore Pietro Grasso non ricevette da nessuno, come al contrario afferma il falso giornalista disinformatore, una notitia criminis sulle circostanze della morte di Giuliano, ma ebbe tra le mani un dossier per la riapertura delle indagini sulla strage di Portella della Ginestra. Riguardava non l’ipotesi di una sostituzione di cadavere, ma il delitto di strage. Il dottor Pignatone e il dottor Mirvillo esaminarono le carte e ritennero opportuno, discrezionalmente, “rilevare che la gran parte degli atti indicati [era] costituita da documenti dei servizi segreti italiani e americani, peraltro risalenti al periodo bellico o agli anni immediatamente successivi e basati per lo più su fonti anonime, e da altri atti di cui non è identificato o identificabile l’autore nonché da notizie di stampa e da ricostruzioni di storici e studiosi. E’ chiaro che questi elementi – continuavano Pignatone e Morbillo – possono ovviamente costituire la base preziosa per un approfondimento in sede storica e scientifica […] ma non possono costituire per la loro stessa natura e le loro intrinseche caratteristiche il punto di partenza per l’inizio di un’attività di indagine volta ad accertare la responsabilità penale in ordine a reati gravissimi commessi 60 anni fa.” I due furono forse consigliati male da qualche accademico, forse si espressero in mancanza di indizi probanti. Affari loro. Si sono assunti le loro responsabilità per le generazioni future. Ma il caso in questione è molto diverso. Perché, questa volta, ci sono testimonianze, documenti sottoscritti e molto altro materiale che lascia supporre l’esistenza di un reato grave. Che dovrebbero fare i giudici per questi giornalisti troppo professionali? Ignorarli? Ma, come si suol dire, Dio fa gli uomini, e tra di loro si accoppiano.
Giuliano e Mike Stern 8 maggio 1947