di Antonella Scaramuzzino. Prevenire le aggressioni si può. Basta volerlo. Alcuni proprietari di cani cercano di minimizzare l’accaduto anche di fronte all’evidenza, come una ferita da morso. Succede perché non sono in grado di valutare il potenziale aggressivo di Fido o perché, pur rendendosene conto, non sono capaci di controllarlo? In entrambi i casi, i fatti dimostrano superficialità e ignoranza delle regole educative di base. I casi imprevedibili sono davvero una minoranza trascurabile: spesso gli episodi di mordacità rappresentano l’epilogo di situazioni già a rischio, le avvisaglie sottovalutate e alimentate nel tempo dalle cattive abitudini del proprietario. La capacità di intervenire tempestivamente o di prevenire l’aggressione dipende dal grado di conoscenza non solo del carattere del proprio ‘quattrozampe’, ma soprattutto da quello dell’animale-cane in generale. Troppi cittadini si accontentano di sapere che esso è un quadrupede dotato di coda e del dono del silenzio, senza neppure intuire come la natura, in millenni, gli abbia donato precise identità e linguaggio. Per decine di migliaia di anni, il cane ha “fatto il cane” esprimendo con pienezza le proprie peculiarità, anzichè facendo la spola tra il letto e il divano di casa. Ha vissuto benissimo senza cappotto, fiutando piste e pericoli col suo olfatto poderoso mentre marciava quotidianamente per chilometri e chilometri. Utilizzando il termine “domestico” in riferimento all’animale, lo si intende tale non tanto perché abituato all’aria viziata dei nostri appartamenti e allo smog delle nostre strade, quanto in riferimento al rapporto di scambio stabilito con l’uomo durante i secoli. Ciò nonostante rimane prima di tutto un animale, persino quand’è strizzato nel maglioncino di lana che a fatica gli abbiamo fatto indossare. E se la razza o le caratteristiche morfologiche lo rendono idoneo alla difesa del padrone o del territorio, utilizza l’energia che ha a disposizione per compiere il proprio dovere, in base ad una percezione degli eventi e della realtà diverse dalle nostre. Se solo il suo proprietario imparasse a riconoscere questi segnali, incanalando e controllando questa energia, eviteremmo di assistere impotenti alla demonizzazione della razza canina. Questo si affannano a ricordarci addestratori e comportamentisti, intervistati in tv in occasione di tristi episodi: un cane allevato senza regole è paragonabile ad un bambino maleducato. Viziato o abbandonato a se stesso, potrebbe assumere comportamenti negativi e devastanti, con conseguenze nefaste anche per gli altri, né più né meno di quanto fanno gli scolari bulli. Non occorre scomodare sociologi e psicologi per capire a chi attribuirne la responsabilità. Purtroppo, al momento in cui scriviamo, non esiste una normativa che obblighi i cittadini ad educare Fido, o vigili sull’idoneità di ciascun proprietario all’adozione di un soggetto impegnativo. Il famoso patentino per cinofili è, purtroppo, facoltativo, e ad averne più bisogno è proprio chi non sa neppure che esista. A pensarci bene poi, patente è una parola più che appropriata: un “permesso di condurre” il cane, subordinato alla conoscenza delle regole di base per la sua educazione. Perché, se il paragone non è fuori luogo, in molti affideremmo un potente bolide a chi ha una guida calma e prudente, e una tranquilla utilitaria a chi è distratto o incline a provocare incidenti. Più o meno il contrario di quanto accade nella nostra realtà quotidiana.
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di Antonella Scaramuzzino. Prevenire le aggressioni si può. Basta volerlo. Alcuni proprietari di cani cercano di minimizzare l’accaduto anche di fronte all’evidenza, come una ferita da morso. Succede perché non sono in grado di valutare il potenziale aggressivo di Fido o perché, pur rendendosene conto, non sono capaci di controllarlo? In entrambi i casi, i fatti dimostrano superficialità e ignoranza delle regole educative di base. I casi imprevedibili sono davvero una minoranza trascurabile: spesso gli episodi di mordacità rappresentano l’epilogo di situazioni già a rischio, le avvisaglie sottovalutate e alimentate nel tempo dalle cattive abitudini del proprietario. La capacità di intervenire tempestivamente o di prevenire l’aggressione dipende dal grado di conoscenza non solo del carattere del proprio ‘quattrozampe’, ma soprattutto da quello dell’animale-cane in generale. Troppi cittadini si accontentano di sapere che esso è un quadrupede dotato di coda e del dono del silenzio, senza neppure intuire come la natura, in millenni, gli abbia donato precise identità e linguaggio. Per decine di migliaia di anni, il cane ha “fatto il cane” esprimendo con pienezza le proprie peculiarità, anzichè facendo la spola tra il letto e il divano di casa. Ha vissuto benissimo senza cappotto, fiutando piste e pericoli col suo olfatto poderoso mentre marciava quotidianamente per chilometri e chilometri. Utilizzando il termine “domestico” in riferimento all’animale, lo si intende tale non tanto perché abituato all’aria viziata dei nostri appartamenti e allo smog delle nostre strade, quanto in riferimento al rapporto di scambio stabilito con l’uomo durante i secoli. Ciò nonostante rimane prima di tutto un animale, persino quand’è strizzato nel maglioncino di lana che a fatica gli abbiamo fatto indossare. E se la razza o le caratteristiche morfologiche lo rendono idoneo alla difesa del padrone o del territorio, utilizza l’energia che ha a disposizione per compiere il proprio dovere, in base ad una percezione degli eventi e della realtà diverse dalle nostre. Se solo il suo proprietario imparasse a riconoscere questi segnali, incanalando e controllando questa energia, eviteremmo di assistere impotenti alla demonizzazione della razza canina. Questo si affannano a ricordarci addestratori e comportamentisti, intervistati in tv in occasione di tristi episodi: un cane allevato senza regole è paragonabile ad un bambino maleducato. Viziato o abbandonato a se stesso, potrebbe assumere comportamenti negativi e devastanti, con conseguenze nefaste anche per gli altri, né più né meno di quanto fanno gli scolari bulli. Non occorre scomodare sociologi e psicologi per capire a chi attribuirne la responsabilità. Purtroppo, al momento in cui scriviamo, non esiste una normativa che obblighi i cittadini ad educare Fido, o vigili sull’idoneità di ciascun proprietario all’adozione di un soggetto impegnativo. Il famoso patentino per cinofili è, purtroppo, facoltativo, e ad averne più bisogno è proprio chi non sa neppure che esista. A pensarci bene poi, patente è una parola più che appropriata: un “permesso di condurre” il cane, subordinato alla conoscenza delle regole di base per la sua educazione. Perché, se il paragone non è fuori luogo, in molti affideremmo un potente bolide a chi ha una guida calma e prudente, e una tranquilla utilitaria a chi è distratto o incline a provocare incidenti. Più o meno il contrario di quanto accade nella nostra realtà quotidiana.
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