Qualche tempo fa il mitico Dalse, fondatore dell’interessante webradio yastaradio.com, con la quale collaboro da anni con grande soddisfazione, mi aveva “raccomandato” un disco, consegnandomi di persona un pacchetto regalo, altro che inviarmi il semplice file in mp3! Diceva che i Canto Antico probabilmente mi sarebbero piaciuti, con la loro commistione di generi e atmosfere. Preso da mille impegni, mi sono reso conto che le settimane scorrevano inesorabilmente, e così ho voluto rimediare, concedendo più di un ascolto attento a questo insolito trio trapiantato a Milano ma con evidenti e solide radici mediterranee, tra Napoli e il Salento, da dove deriva la loro sfrenata, innata, travolgente e genuina passione per il suono tipico della pizzica.
Il risultato sono dieci pezzi irresistibili, uno più trascinante dell’altro, che siano brani originali (scritti principalmente nei testi dalla polistrumentista Francesca Di Ieso, che nel gruppo si occupa di percussioni, tamburi a cornice italiani e voce) o moderne rivisitazioni di brani popolari cari alla loro terra d’origine (tra queste spicca sicuramente “Malarazza”, rifacimento di uno splendido brano, di impronta sociale, di Domenico Modugno. Di questo versante fanno capolino anche “Cicerenella”, l’ironica “Gallina”, e le scatenate “Carpino Revolution” e “Aremu Rindineddha”
Ma devo ammettere che i miei brani preferiti sono proprio quelli originali, dove la voce principale Armando Illario (che suona pure la fisarmonica), la Di Ieso e Francesco Nastasi (unico “vero” milanese in organico, ai flauti , cornamusa e piffero) danno il meglio di sé, staccandosi dai modelli originari per creare un suono nuovo, coeso, unico nel suo essere comunque frutto di contaminazioni, come in fondo il mondo del folk e della taranta in particolare sa essere. Siamo in territori che non si discostano molto da un altro gruppo che letteralmente adoro, i Nidi d’Arac ma direi che le analogie si fermano alle origini comuni delle due band, al recupero di sonorità antiche, laddove i pugliesi salentini però virano su atmosfere anche talvolta meste, o in ogni caso più struggenti ed evocative. Nei Canto Antico c’è invece sì per la sperimentazione e per l’intreccio di moderno e antico, ma il tutto declinato maggiormente sul ballo, componente essenziale delle loro canzoni. Sfido chiunque a rimanere impassibili davanti ai due brani d’apertura: “Fico a dicembre” e “Sanghe”. Un disco, questo “South Beat” (titolo tra l’altro azzeccatissimo in questo termine ideato da loro, che ben va a sintetizzare ciò che l’ascoltatore si troverà una volta inserito il cd nel lettore), che merita assolutamente più di un ascolto. Sono certo che risentiremo parlare di questo trio, destinato a fare strada nell’ambito di una musica che non azzardo a definire “world”, considerando l’impronta internazionale della proposta.