Un’autentica scoperta. Un romanzo straordinario e innovativo, riscattato dall’oblio. Mai pubblicato in Italia. Vincitore nel 1975 del National Book Award (quell’anno erano finalisti scrittori del calibro di Philip Roth, Vladimir Nabokov, Toni Morrison, Donald Barthelme), I capelli di Harold Roux è un eccezionale esperimento di romanzo nel romanzo, ma soprattutto una formidabile riflessione sul potere della narrazione, su come le storie e il processo creativo con cui le raccontiamo ricostruiscono il passato e la memoria e contribuiscono a definire chi siamo.
Aaron Benham insegna letteratura inglese in un’università del New England. Ha una bella casa nei sobborghi residenziali della città, una moglie e due figli che stanno diventando grandi – ed è nel pieno di una crisi di mezza età. Ha preso un anno sabbatico e sta cercando di scrivere un romanzo che non riesce a scrivere, continuamente distratto dalle persone che ama e che hanno bisogno di lui e dai ricordi che continuano ad affiorargli alla mente, dalla nostalgia, dai rimpianti.
Il suo romanzo, I capelli di Harold Roux, è «una semplice storia di seduzione, follia e omicidio», come lo definisce lui stesso. Allard, il protagonista, ha poco più di vent’anni ed è appena tornato dalla seconda guerra mondiale. Non ha dubbi sulla bestialità dell’uomo, non crede nella violenza ma è spaventato dalla gioia che a volte il pensiero della violenza gli procura.
Vuole diventare uno scrittore, sogno che condivide con Harold Roux, suo compagno di università e rivale intellettuale, che ha perso i capelli durante la guerra e indossa un terribile parrucchino; entrambi corteggiano Mary, una ragazza bellissima e naive – l’innocente, onesta, dolce America, la ragazza della porta accanto –, ma Allard è anche attratto da Noemi, la sua compagna di stanza, una militante comunista di buona famiglia che, come ogni ragazza borghese, conosce il linguaggio preciso del contatto fisico.
Più Aaron mescola passato e presente e il romanzo prende forma, più appaiono in controluce i suoi stessi anni al college, le sue inquietudini di allora, i ricordi di un gruppo di amici abbastanza giovani da ricordare la cacciata dal paradiso.
Stephen King (da un’intervista per The Atlantic): «Thomas Williams era uno scrittore meraviglioso. Scrisse un romanzo intitolato I capelli di Harold Roux, uno dei miei libri preferiti, su uno scrittore di nome Aaron Benham. Benham dice che quando si siede per scrivere un libro è come se si trovasse su una pianura buia con un fuocherello minuscolo. E qualcuno arriva e si avvicina al fuoco per scaldarsi. E poi arriva altra gente. E quelli sono i personaggi del tuo libro, e il fuoco è la tua ispirazione. E loro alimentano il fuoco, che si fa più grande, e alla fine si spegne perché il libro è finito. Per me è sempre stato così. Quando cominci, è molto freddo, una sfida impossibile. Ma poi magari i personaggi cominciano a prendere un po’ di vita, oppure la storia ha una svolta inaspettata… A me succede spesso perché non mi faccio scalette, ho solo un’idea vaga in mente. E quindi ho sempre la sensazione di trovare qualcosa, più che di fare qualcosa. È eccitante. È elettrizzante».