«Lavoro terminato: 103 giorni, 43 bottiglie di liquore». Così scriveva ironicamente sul proprio diario, nel 1953, il maestro del cinema giapponese Ozu Yasujiro (1903-1963) dopo aver terminato le riprese di Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari), cioè di quello che è stato definito il più bel film della storia del cinema, secondo un sondaggio condotto fra 358 registi di tutto il mondo. Viaggio a Tokyo e altri cinque capolavori del regista giapponese, restaurati e digitalizzati dalla sua casa di produzione, sono visibili fino al 22 luglio nei cinema di Roma, Milano, Firenze, Bari, Torino, Perugia e Terni e da settembre saranno proiettati a Bologna, Reggio Emilia, Parma, Bergamo, Pisa, Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Udine, Pordenone e Trieste. La rassegna Ozu Yasujiro – I sei capolavori restaurati comprende, oltre a Viaggio a Tokyo (scelto da Nanni Moretti per la prima data romana, il 24 luglio, al Nuovo Sacher) anche Tarda primavera (1949), Fiori di Equinozio (1958), Buon giorno (1959), Tardo autunno (1960) e Il gusto del sake (1962).
Il merito culturale di aver portato in Italia queste perle del cinema mondiale è della Tucker Film di Udine-Pordenone, che insieme al Far East Film Festival di Udine da anni è impegnata a far conoscere al nostro pubblico le cinematografie dell’Estremo Oriente. Chi ama il cinema non può non amare Ozu, regista che ha variamente influenzato (venendone omaggiato) autori come Antonioni, Bresson, Ferreri, Kiarostami, Kaurismaki e il primo Wenders, che a Ozu dedicò il celebre Tokyo-Ga (1986). In occasione della rassegna Tucker Film e FEFF pubblicano un libro utilissimo per capire il mondo del grande cineasta giapponese: Ozu Yasujiro. Autunno e primavera (a cura di Giorgio Placerani, Tucker Film /FEFF, pp. 158, euro 12); il volume comprende una raccolta di saggi sul regista, sui suoi principali attori e attrici, un dizionarietto tematico/estetico sull’opera dell’autore, la filmografia completa e una bibliografia.
In un saggio di Dario Tomasi contenuto nel libro curato da Placerani scegliamo, fra le tante analisi sullo stile di Ozu, una frase che si sofferma su una delle sue più note peculiarità: «la posizione bassa della macchina da presa, che inizia a vedersi nei suoi film di bambini, con la funzione di rappresentare il loro punto di vista. Tale scelta, tuttavia, si è poi slegata da questa causa, per diventare un vero e proprio marchio stilistico dell’autore, così da attribuire all’azione di tutti i suoi personaggi un andamento quasi rituale, come se questi si muovessero su un palcoscenico, leggermente sopra lo spettatore che li sta osservando seduto sulla sua poltrona». Dal volume di Placerani ci piace citare infine un giudizio di Wenders su Ozu: «Per me Ozu è il regista che ha saputo elevare il cinema, la forma d’arte del ventesimo secolo, alla sua massima bellezza, una bellezza che non può essere imitata né riprodotta».
Dunque, buona visione a tutti.