I Carri di Marte (I parte)

Da Giovannipelosini

Marsilio Ficino

I Neoplatonici non disgiungevano l’analisi di Marte da quella di Venere, considerando sempre tale coppia planetaria uno degli aspetti del concetto di Amore. Ciò trova una giustificazione in alcuni miti in cui Eros, anziché una divinità preolimpica, è considerato figlio di Afrodite e di Ares.

Scrive Marsilio Ficino (Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone) che “…se Venere tiene la signoria della natività dell’uomo, concede affetto di Amore: e se Marte prossimamente vi si aggiugne, fa con la caldezza sua lo impeto di Venere più ardente.” In altre parole nell’astrologia rinascimentale Marte dona a Venere la forza e l’audacia necessarie all’Amore per esprimersi al meglio. E se tale concetto atavico e universale di Amore nell’uomo riesce a manifestarsi soprattutto nei rapporti interpersonali, si spiegano meglio anche i princìpi dell’astrologia moderna e psicologico-evolutiva riguardanti le relazioni dell’individuo con il mondo esterno in un connubio che solo la nostra mente sceglie di ordinare e suddividere in categorie ideali: affettive, estetiche, dialettiche, intellettive, aggressive.

Anche così può esprimersi l’Amore: con la forza e la combattività, con la spinta propulsiva e l’ardore, con l’energia attiva di Marte che talvolta rappresenta l’unica possibilità che ha la vita di prevalere sull’ostilità ambientale e sulla morte. E tuttavia Marte, pur essendo un aspetto di Amore al pari di Venere, non esita a mostrare spesso la sua faccia feroce e aggressiva, la sua natura affermativa e bellicosa, la sua azione sempre muscolare e talvolta violenta: sia per aspetti planetari disarmonici, sia, più in generale, per la diffusa errata concezione di “amore”, dimenticando che la stessa mitologica Armonia è figlia degli due numi planetari. Tutto ciò rientra nell’antico conflitto tra i princìpi maschile e femminile dell’universo, che stentano a trovare un’armonica fusione nell’individuo, nella coppia, nella famiglia, nella società, nel mondo.

Tra i simboli di Marte guerriero in modo inusuale ho scelto il carro, principalmente nei suoi aspetti emblematici di veicolo di spostamento attivo e dinamico, di strumento cultuale funebre e trionfale, di strumento bellico, ben consapevole che, se il carro è soprattutto un simbolo del Sole, i carri da guerra di ogni epoca, spesso rivestiti di ferro, sono indubbiamente manifestazioni archetipiche di Marte.

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I CARRI DI MARTE

I Carri dei Kurgan

La storia dei carri è antica quasi quanto la civiltà, e narra, con la sua evoluzione, uno dei più drammatici avvenimenti del nostro lontano passato. Lentamente a partire dal V millennio a.C. popolazioni nomadi e guerriere iniziarono a invadere e a conquistare il Vecchio Mondo soppiantando l’antica civiltà autoctona che vi dominava fin dal periodo neolitico. Il processo di conquista, che alcuni studiosi chiamano kurganizzazione, fu lungo e avvenne in tempi diversi nelle varie aree, ma con significative costanti: la distruzione dei primi grandi centri agricoli organizzati e dei centri di culto megalitici, la mitopoiesi celebrativa degli eroi solari vittoriosi, il violento passaggio da una civiltà contadina e matriarcale ad una patrilineare e guerriera, la sostituzione delle antiche Dee Madri con pantheon a prevalenza maschile. (Vedasi il mio saggio Matriarcato e patriarcato nei miti antichi e nei simboli astrologici, 2008).

Ondate di nomadi allevatori di cavalli scesero dalle montagne come una piena, e così sono spesso rammentati nei miti, travolgendo gli insediamenti agricoli nelle fertili vallate. In molti casi avevano innovative armi di ferro ed erano spinti da una forte volontà di prevalere. I loro micidiali carri da guerra fecero la differenza tattica e strategica per interi millenni, e li portarono alla vittoria sui campi di battaglia.

L’ancestrale conflitto fra agricoltori e allevatori si rinnovava nella dialettica universale fra i princìpi femminile e maschile, rappresentati a seconda dei casi dalla coppia simbolica Luna-Sole o da quella Venere-Marte. Dal punto di vista simbolico le ruote dei più antichi carri rappresentano perfettamente il loro diverso ruolo a seconda della funzione pratica e le due principali divinità di riferimento dotate di dischi ruotanti celesti. Le più primitive ruote di carro dei più antichi centri stanziali conosciuti erano piene e robuste, adatte al carico e simbolicamente riferite al sacro disco lunare che scandiva i ritmi della vita agricola. I carri da guerra degli invasori avevano ruote snelle e dotate di raggi, che richiamavano simbolicamente il mitico carro del Sole e le bellicose divinità maschili che lo accompagnarono.

Uno degli episodi di tale lungo e complesso processo di trasformazione culturale avvenne intorno al 1150 a.C., quando i Dori distrussero la tarda civiltà micenea, dando vita al sincretismo religioso che strutturò gran parte dell’antica mitologia classica mediterranea che rappresenta ancora la base fondante della simbologia astrologica. Con l’Età del Ferro e l’avvento del carro come strumento di guerra, Marte entra da protagonista a far parte di questa narrazione astrologica e antropologica che ci porterà, dopo più di tremila anni, ai carri armati moderni.

I Carri di ferro della Bibbia

Carri di ferro sono rammentati nella Bibbia, quando si descrive la formidabile armata di 900 carri del generale Sisara, al servizio di Iabin, re di Canaan, che opprimevano duramente da venti anni il popolo di Israele. Secondo il racconto (Giudici, IV) l’armata fu dispersa da Yahwèh, che precedeva l’esercito degli Israeliti di Barak, ma significativamente furono due donne a consentire la sconfitta dei carri da guerra e dei nemici sul monte Tabor.

Fu la profetessa Debora a dettare la vincente strategia d’attacco e a incoraggiare Barak a radunare un esercito, ma egli si rifiutò di combattere senza avere lei al suo fianco, al che la profetessa sentenziò: “Bene, verrò con te; però non sarà tua la gloria sulla via per cui cammini; ma il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna.” (Giudici, IV,9). E infatti fu Giaele, moglie di Eber, a uccidere il generale Sisara che si era nascosto nella sua stessa tenda, conficcandogli con un martello un acuminato paletto nella tempia, quale ulteriore simbolo di Marte in questa antica storia.

I Carri etruschi dei Principi Guerrieri

Nel corredo funebre della più grande tomba della necropoli di Populonia furono trovati i resti di due carri da guerra in legno con rivestimenti decorativi anche in ferro del VII secolo. La struttura della decorazione dei carri rivelava la grande importanza che gli Etruschi attribuivano a questo metallo, per alcuni aspetti considerato ancora più prezioso dell’oro. Le miniere di ferro della vicina Isola d’Elba resero potenti i clan aristocratici dell’Etruria occidentale contribuendo a formare una casta di prìncipi guerrieri. Uno dei principali motivi del fiorire della civiltà etrusca nel primo millennio a.C. furono indubbiamente gli accessibili giacimenti di ferro dell’Elba, delle Colline Metallifere e della Tolfa, che costituivano all’epoca il complesso produttivo di massima rilevanza di tutto il Mediterraneo. Il dio del ferro e della guerra Laran (marito di Turan, corrispondente di Venere), che i Romani poi chiamarono Marte, fu una divinità importante per almeno una dozzina di secoli nella nostra penisola, e non solo. La funzionale organizzazione militare romana fu un modello di successo e uno dei pilastri della società culturale sia repubblicana sia imperiale: parte di tale organizzazione era di origine etrusca, come traspare anche dalla parola latina miles (soldato), presa senza modifiche dalla lingua etrusca. Quanto alla dubbia derivazione di Marte dalla divinità etrusca Maris, spesso rappresentata come un giovane armato, non è il caso di approfondire in questa sede. Ma ancora una volta è opportuno segnalare come nella società etrusca, pur così fortemente segnata dai simboli “maschili” di Marte, abbiano avuto grande importanza le donne, in modo significativamente diverso dalle civiltà greca e romana, al punto da utilizzare con frequenza il matronimico.

Come dimostrano i ritrovamenti archeologici di Castel San Mariano presso Perugia, fin dall’età arcaica il carro era un simbolo cerimoniale di aristocratico potere e ricchezza che serviva ai prìncipi in battaglia e nei trionfi, così come corredo funebre per l’ultimo viaggio.

Si distinguevano però due tipi di carri a due ruote: il carpentum (femminile) e il currus (maschile). Il carpentum era l’antenato del moderno calesse utilizzato anche dalle donne e dai magistrati, con uno o due posti seduti, decorato in bronzo a ricordare anche con il rame l’attinenza simbolica con Venere, presente nei fregi nella forma alata di Turan. Aveva l’asse ruotante e non poteva muoversi troppo velocemente. Tito Livio narra di un prodigio avvenuto al futuro re Tarquinio Prisco quando entrò sfarzosamente a Roma con la moglie a bordo di un carpentum. Il currus etrusco invece era una classica biga aperta posteriormente sulla quale prendevano posto due persone in piedi: in genere si trattava di un aristocratico e di un auriga, che si muovevano così in trionfo, a caccia e in battaglia. L’eccezionale ritrovamento di un carro di ferro etrusco completo di cavalli in una tomba aristocratica di Adria, unito a leggende locali ancora vive nel secolo scorso, conferma gli utilizzi sia bellico sia sepolcrale del carro, in analogia simbolica con Marte e con i segni in cui è domiciliato (Ariete e Scorpione).

Il Carro di Ferragosto

A Fontanarosa, in provincia di Avellino, la tradizione della vigilia di Ferragosto vuole che da circa due secoli si porti in processione, non senza difficoltà, un obelisco di paglia intrecciata alto circa 28 metri a forma di appuntito obelisco detto “carro”, trainato da due coppie di buoi. Questo nome rappresenta certamente un retaggio dei carri agricoli carichi delle primizie del raccolto che erano anticamente offerte alle divinità femminili pagane durante le feste estive e che successivamente rappresentarono un atto di ringraziamento e di devozione alla Madonna, nella festa dell’Assunzione, risalente almeno al VII secolo. Lo stesso utilizzo di paglia inumidita e intrecciata con arte su telai ricorda la preistorica festa del raccolto dei cereali.

La forma della guglia, fortemente acuminata, richiama astrologicamente i simboli di Marte. Possibili riferimenti mitologici sono quello del carro alato di Trittolemo ornato di serpenti, donato da Demetra per volare sui campi come allegoria del principio maschile incaricato di fecondare la Madre Terra; e quello del carro di Attis, simbolicamente evirato, che immagino versare gocce di sangue fecondante sui campi della Frigia, terra sacra alla Dea Madre Cibele celebrata da sacerdoti eunuchi.

Quanto al nome “Ferragosto”, è appena il caso di ricordare che deriva dal latino Feriae Augusti (Riposo di Augusto), anche se la coincidenza ha voluto creare una cabala fonetica in lingua italiana che richiama singolarmente il marziano ferro.

Il Carro dei Tarocchi

Il VII Arcano Maggiore si chiama Il Carro e raffigura un auriga che guida un cocchio trionfale trainato da due animali di diversi colore e intenzioni. Una delle interpretazioni psicologiche fa riferimento allo spirito dell’uomo che è chiamato a tenere a freno la sua natura materiale, con il dualismo che lo lega all’apparente realtà bipolare tramite i sensi, le passioni, l’orgoglio, il suo stesso corpo e le sue stesse azioni e motivazioni: tutto ciò che può sfruttare per andare avanti lungo la strada scelta, anche se con fatica e lentezza, verso i suoi obiettivi.

Certamente il mito dell’auriga che Platone cita nel Fedro (246) è uno dei riferimenti classici della carta, come lo è il mito di Fetonte (cfr. Ovidio, Metamorfosi, II). Proprio in Ovidio ho trovato una delle rare tracce letterarie che lega analogicamente il Tarocco al segno dello Scorpione, domicilio di Marte: i cavalli imbizzarriti del carro volante, sfuggiti al controllo dell’inesperto Fetonte, prima di precipitarlo sulla terra, vanno a cozzare contro la volta celeste proprio in corrispondenza della costellazione dello Scorpione.

Confesso però che tale analogia astrologica, pur derivante dal sistema coerente della griglia dei miei Tarocchi Aurei, agli inizi della ricerca non mi convinceva completamente, essendo i simboli sempre plurivoci. Per la stessa ragione i vari significati astrologici di Marte si ritrovano maggiormente in altre carte del mazzo, particolarmente nella militare e fallica Torre, e tuttavia la mia argomentazione sul pianeta Marte in questo caso deve poter richiamare anche lo Scorpione come uno dei suoi domicili.

Le mie iniziali perplessità furono messe da parte soprattutto di fronte alla perfetta posizione della carta nella colonna dei segni d’Acqua; ricordando poi anche i culti funebri e le celebrazioni degli eroi guerrieri della mitologia celtica, particolarmente l’irlandese Cùchulainn, che forse usava un mezzo simile all’antico carro da guerra gallico a due ruote chiamato esseda, che poi i Romani adottarono soprattutto nei giochi circensi.

Ma nel corso dello studio tarologico altri indizi si presentarono.

Nella saga della Torre Nera di Stephen King, moderna fonte mitopoietica di un narratore che ha dimostrato più volte di saper attingere alla biblioteca degli archetipi universali, la radice char-, nella cosiddetta Lingua Eccelsa, significa “morte” (così come nell’antico inglese vuol dire girare, voltare, mutare, ricordando così la ruota), e Charyou Tree (così simile al termine inglese charioteer, auriga) era la celebrazione di un cruento rito sacrificale agricolo del Giorno delle Messi, con il significato di “Morte a te, Vita al mio raccolto”: qualcosa di molto simile è stato espresso nelle tesi di etnologia arcaica di James George Frazer (cfr. The Golden Bough, 1922) e richiama le origini del summenzionato carro di Fontanarosa.

Infine il termine latino caro (carne) ha poi prodotto nel francese arcaico carnel, e quindi l’inglese charnel house, il luogo presso le chiese dove si depositavano i cadaveri.

Quanto al già ricordato carpentum, esso ha origine protoceltica nel termine karbanto (carro da guerra), e una poco dubbia affinità etimologica con Carpentus o Carpantus, divinità guerriera conosciuta solo grazie a rare iscrizioni dedicatorie latine trovate in Francia e riferite a tale dio degli eroi che correvano alla battaglia sui carri da guerra.

I più famosi e leggendari condottieri, conquistatori e imperatori sono spesso ricordati a bordo di un carro. Di Alessandro Magno si disse che guidò un cocchio trainato da due grifoni alati per esplorare il cielo. Eginardo, il biografo di Carlo Magno, scrisse che l’imperatore “viaggiava ovunque a bordo di un carpento” (Quocumque eundum erat, carpento ibat. Eginardo, De Vita Caroli Magni Commentarius, 1). Anche iconograficamente è famosa l’immagine del carro con cui Achille trascina il corpo straziato di Ettore sotto le mura di Troia (cfr. Omero, Iliade).

Anticamente la biga da guerra era conosciuta e usata dagli Egizi fin dalla V Dinastia e nell’arcaico poema indiano Bhagavad Gita c’è l’importante riferimento simbolico al carro da guerra del principe Arjuna, che ha come auriga addirittura il dio Krishna. Qui la vittoria attende l’audace che ha scelto di percorrere con il carro un simbolico viaggio iniziatico di coscienza, conoscenza e amore, un sentiero non agevole se non si è guidati dalla divina forza interiore. Infatti è Krishna che guida il carro e a lui deve affidarsi Arjuna prima dello scontro finale, allegoria della battaglia interiore di ogni uomo contro l’ignoranza e gli attaccamenti egoici.

I miti classici narrano dei già citati carri di Trittolemo e di Attis, del corpo di Ippolito trascinato sugli scogli dai cavalli imbizzarriti del suo stesso carro, e della morte cruenta degli amanti di Ippodamia, figlia di Enomao. Si narra, infatti, di Enomao, re di Pisa in Elide e figlio di Ares-Marte, che gareggiava con i pretendenti della figlia Ippodamia in una mortale corsa sui carri: i cavalli di Enomao erano un dono di Marte e talmente veloci che il re concedeva sempre un vantaggio agli sfidanti, che erano quindi regolarmente raggiunti prima del traguardo e decapitati. Il mito ricorda dodici o tredici teste di perdenti inchiodate alla porta della reggia. La serie dei pretendenti si esaurì con un sabotaggio scorpionico a danno dell’asse del carro del re e con la sua morte conseguente all’incidente.

Uno dei significati esoterici del VII Arcano, complessi come il mitico nodo del Carro di Gordio, è nascosto nel senso profondo della morte e della rinascita, dei riti dell’evirazione sacra e del sangue fecondante, delle ancestrali celebrazioni dei ritmi agricoli del calendario sacro, degli antichi Misteri Orfici, di Eleusi e di Attis, dei cicli naturali della vita e dell’esistenza. Il Carro, VII lama dei Tarocchi, seguendo numericamente Eros, rappresentato dal VI Arcano (L’Innamorato), deve simboleggiare anche Thanatos, l’oscura morte che apre alla suprema e profonda metamorfosi dell’essere.

Giovanni Pelosini

  • Continua in I Carri di Marte (II parte)

Bibliografia

Marsilio Ficino, Sopra lo Amore, ovvero Convito di Platone

Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea

Giovanni Pelosini, Matriarcato e patriarcato nei miti antichi e nei simboli astrologici

Giovanni Pelosini, I Tarocchi Aurei

La Bibbia di Gerusalemme (EDB)

Baghavad Gita

The New Webster Dictionary

Carlo Cordié, Enciclopedia dei miti

Omero, Iliade

James George Frazer, Il Ramo d’Oro

Stephen King, La Torre Nera

Eginardo, De Vita Caroli Magni Commentarius

Franklin J. Schaffner, Patton, generale d’acciaio

Ladislas Farago, Patton: ordeal and triumph

Omar N. Bradley, A soldier’s story

Kristopher Calnon, Patton: A man of Heroic Proportions


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