Negli ultimi quarantacinque anni in Rwanda sono stati perpetrati ripetuti massacri, oltre a quelli della rivolta contadina hutu del 1959.
Accadde di nuovo, infatti, nel 1963, poi nel 1996, nel 1973 e durante la guerra civile dal 1990 al 1993.Solo da dicembre 1992 a febbraio 1993 si calcola che sono state trucidate circa duemila persone, uomini, donne, bambini in maggior parte tutsi.
Una cosa è certa : tra l'aprile e luglio del '94 nel paese, che si chiama Rwanda, si verificò il più grande blackout delle tutele civili e giuridiche mai avvenute nella recente storia dell'umanità. Regnò l'impunità assoluta, per giunta garantita dalle più alte cariche dello Stato e dalle autorità locali( Jean Paul Akayesu-Jean Kambanda-Pauline Nyiramasuhuku-Jean Baptiste Gatete-etc).Questo atteggiamento generalizzato contribuì in modo determinante alla diffusione di comportamenti criminali sempre più efferati, incrementando una terribile escalation di violenze.Ma, già mesi, se non anni prima i presupposti del baratro in cui sarebbe precipitato il Paese erano sotto gli occhi di chiunque avesse voluto guardare.All'epoca della guerra civile, nell'ottobre del 1990, le esecuzioni extra-giudiziarie erano all'ordine del giorno.In uno dei rapporti dei relatori speciali dell'ONU sui diritti umani, redatto l'11 agosto 1993, veniva sottolineato come l'impunità a seguito di massacri a carattere etnico e politico costituisse un grave elemento di rischio per il Paese, in quanto provocava proprio proprio un aumento di uccisioni sommarie e arbitrarie.A questo proposito il relatore citava il giurista internazionale Federico Andreu Guzmàn che,nella prefazione di un suo studio commissionato dal Consiglio economico e sociale dell'ONU sull'impunità, afferma che quest'ultima mina la vita politica, distrugge il tessuto sociale, annulla la coesistenza democratica tra i popoli e gli individui e legittima la legge del silenzio come norma suprema di sopravvivenza.
Non si può perciò provare uno sconfortante senso d'impotenza, dunque, di fronte alla quantità considerevole di segnali premonitori raccolti dagli osservatori-ONU, inviati in Rwanda, ben prima delle stragi del 1994.Le loro relazioni riportate nel Libro Azzurro dell'ONU costituiscono una testimonianza e allo stesso tempo un atto d'accusa alla lentezza con cui il mondo ha reagito.
ndr.
Silvana Arbia, autrice di"Mentre il mondo sta a guardare", edito da Mondadori e scaricabile anche in versione e-book, è stata per ben 9 anni giudice del Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) di Arusha, in Tanzania e attualmente è "registrar" ossia capo della cancelleria della Corte penale internazionale (International Criminal Court)de L'Aja, lo stesso che si occupa di Libia,Sudan ,Repubblica Democratica del Congo e di altri paesi dove ancora, purtroppo,avvengono crimini contro l'umanità.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)