Magazine Bambini
Ricordi di una mattina in ospedale.
Vedo passare una barella con un bambino accompagnato in sala operatoria dai genitori e da un paio di clown di corsia. Mi si stringe il cuore a vedere quel bambino così piccolo sdraiato sulla barella, coperto da un lenzuolo bianco che lascia fuori solo il viso e una mano per mantenere il contatto con i genitori.
Noi siamo ancora in dolce attesa, la nostra piccola è ancora nel pancione della sua mamma. Siamo lì per alcuni controlli. Io sono seduto su una sedia della sala d’aspetto, assorto nei miei pensieri cercando di scacciare quelli più brutti. I clown salutano il bambino e rimangono qualche minuto nella sala d’attesa. Capiscono che il mio umore non è dei migliori, sicuramente per aver sviluppato una particolare sensibilità che fa leggere loro i segni nascosti nei gesti e nelle espressioni degli altri. Le sedie accanto a me sono vuote. Ho scelto proprio quel posto per starmene un po’ da solo.D’improvviso i due clown si dirigono verso di me, si siedono vicino. Io faccio finta di niente ma loro vogliono coinvolgermi. All’inizio sono un po’ indispettito. “Perché non mi lasciate in pace” penso, ma non voglio dirlo. Con qualche battuta riescono ad alleggerire l’attesa. Almeno per qualche minuto mi aiutano ad allontanare quei brutti pensieri.Ricordo ancora con piacere quella breve incursione nella mia vita. Vale la pena interessarsi agli altri anche a costo di passare per scocciatori. Partendo da quelli che ci stanno più vicini, perché alcune volte la vicinanza fisica ci porta a dare per scontato un’attenzione emotiva che non viene percepita. Non fermarsi al primo no, perché magari detto d’impulso senza neanche pensarci. Certo, con tatto e con attenzione perché non sempre si ha a disposizione un naso rosso da clown per rompere il ghiaccio.