“Anche l'uomo più miserabile è in grado di scoprire le debolezze del più degno,
anche il più stupido è in grado di scoprire gli errori del più saggio.”
(Adorno)
Introduzione
Esistono tanti e svariati modi di scrivere. Gli argomenti sono diversi, così come sono diversi gli stili di scrittura e il modo in cui ci si approccia nel riempire il primo fatidico foglio bianco. Si può scrivere per infiniti motivi, per amore, per gloria, per vanità… Ma si può scrivere anche per una causa che trascende la limitatezza delle pagine che si stanno riempiendo e, nella maggior parte dei casi, i testi o gli articoli in tal modo prodotti rappresentano qualcosa di più grande rispetto ad un semplice oggetto di lettura. Esempi innumerevoli si possono citare ognuno dipendente dal suo contesto di riferimento; la Bibbia, per il cattolico, trascende l’oggettualità della cosa e diventa l’orizzonte a cui guardare durante tutta la propria esistenza; il DSM per lo psichiatra diventa l’oracolo della sintomatologia, ecc… Nella storia della filosofia sono stati prodotti molti testi ma pochi sono diventati la Bibbia (o il DSM) del filosofo, dentro l’insieme di questi pochi testi hanno un posto di rilievo, ad esempio, la Critica del Giudizio di Kant o La Monadologia di Leibnitz. Possiamo immaginare la filosofia come un’enorme categoria di cose contenente, al suo interno, innumerevoli sottocategorie rappresentate dalle diramazioni concettuali della categoria stessa (Filosofia Morale, Filosofia del Linguaggio, Estetica, ecc…). Una di queste sottocategorie, la Filosofia Morale, ha dei confini complessi da definire. Morale rispetto a cosa? Qual è l’estensione territoriale di questa scienza? Filosofi di ogni epoca hanno discusso questa questione, qualcuno come già Pitagora estendeva la questione morale anche al regno animale non umano altri, come invece Aristotele, la restringevano all’umano. Nonostante la complessa discussione la filosofia morale “animale” è ormai una disciplina attiva, articolata e complessa. Anche in questa sottocategoria della filosofia esistono dei testi di riferimento, sopra tutti Liberazione Animale di Peter Singer e Diritti Animali di Tom Regan. La produzione letteraria in questo campo è relativamente ridotta rispetto ad altri settori e i motivi sono molti; l’interesse per la questione animale e molto scarso, qualcuno crede che si sia già detto tutto e, spesso e volentieri, i testi prodotti sono contro questa disciplina come, ad esempio, il discusso Gli animali hanno diritti? di Roger Scrouton. Alcuni momenti e contesti risultano favorevoli per la produzione letteraria in certi settori, gli incontri tra uomini, le discussioni, le collaborazioni, possono sfociare, in alcuni casi, in dei lavori comuni che violano la regola per crearne di nuove. Milano da un po’ di anni a questa parte sembra essere diventata il centro dell’elaborazione filosofica e politica della questione animale. Sancire i momenti precisi in cui le cose iniziano non è mai facile ma individuare gli attori di questi momenti è un compito più semplice. Ai fini di questo articolo si citeranno solo due nomi: Massimo Filippi e Filippo Trasatti. Eviterò di raccontare vite e qualifiche curriculari “tipo lista della spesa” di queste due persone, ma mi soffermerò su un dato fondamentale per dare uno sguardo nuovo alla questione animale: l’uscita contemporanea di due nuovi testi Ai confini dell’umano1 e Nell’albergo di Adamo2 Il primo dei due testi è scritto da Massimo Filippi e rappresenta un nuovo e complesso tentativo di approcciarsi alla questione animale ponendo come punto d’arrivo (e in verità anche di partenza) la morte “ridotandola” della sua necessarietà. Il secondo libro è curato da Filippo Trasatti e Massimo Filippi e contiene, in quanto antologia di testi, numerosi contributi di filosofi e teorici che tentano, ognuno in modo originale, una descrizione strutturale della situazione animale.
Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte.
Stanisław Jerzy Lec, poeta e scrittore polacco, pensava che il primo sintomo della morte fosse la nascita. Aveva ragione? In un certo senso sì, come si dice il giusto se si afferma che nel momento in cui si inizia a percorrere un sentiero finito si è già pronti a terminarlo. Il naturale percorso dell’essere vivente tende alla morte tanto quanto un grave lasciato cadere da una torre tende verso il terreno (è quella che Aristotele avrebbe chiamato “causa finale”). La cultura contemporanea è impegnata nel dominare l’irrazionalità ed in questa operazione domina se stessa e il suo più grande terrore: “la realtà esterna” che può essere riassunta con il termine di morte. Adorno spiegava questa negazione della morte da parte dell’uomo sociale come una negazione stessa del corpo e della nostra radice biologica più profonda: l’animalità. Attraverso la società dell’uomo razionale la morte perde la sua caratteristica di proprietà essenziale e sprofonda nella leggerezza della contingenza. Le critiche a questa visione “stereotipata” della morte sono, nella storia della filosofia e del pensiero in generale, continue e complesse, basti pensare ad Heidegger e alla sua visione della morte come la “possibilità della pura e semplice impossibilità dell'Esserci”. Tutte queste critiche però, lo si nota immediatamente, sono impregnate dello stesso elemento che si vorrebbe criticare: l’antropocentrismo; per quanto si cerchi di reincorporare la morte nella dimensione dell’esistenza, infatti, questa esistenza rimane sempre esclusivamente umana e non ne trascende mai i suoi confini...
Un nuovo tentativo di percorre universalmente questo viaggio verso la morte è stato fatto, come accennato nell’introduzione, da Massimo Filippi che diventa, per il lettore, il cocchiere di due carri quello dell’accalappiacani e quello dei cani morti, due carri che attraversano trasversalmente tutti gli scritti di Adorno e che attraversano noi stessi inducendoci la domanda: siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i cani? Il sentiero attraverso cui ci guida l’autore e che ci porterà a capire come i due carri siano in realtà lo stesso carro visto da due lati diversi, è un sentiero che profuma di animalismo ma con un odore completamente nuovo, passando per l’antispecismo analitico di prima generazione, osservando quello continentale di seconda e interiorizzando la riflessione fenomenologica acamporiana che sancisce il passaggio dalla “carne del mondo” al “mondo della carne”. La riflessione animalista che emerge dal testo è completamente nuova ma forte delle basi del passato antispecista, superando la necessità di inglobare antropologicamente le capacità animali nelle nostre e tralasciando riflessioni profonde ma inconcludenti; l’animale diviene, adesso, l’intermediario dell’umano metafisico e la sua presunta “povertà di mondo” non è semplice mancanza, ma assenza che si da come paradossale ricchezza in quanto dischiude la possibilità della comunicazione, contrapposta all’auto – dialogare dell’uomo attraverso la sua filosofia metafonica. Il concetto di sfruttamento inteso nella sua globalità è analizzato, ancora una volta, attravero Adorno che aveva individuato come ogni cattiveria umana (nella sua apparente diversità) è invece unificata dallo stesso uso di linguaggio3. L’immersione nell’in – umano attraverso cui ci guida Massimo Filippi è un percorso complesso, attraverso il dialogo con la filosofia, la letteratura e le neuroscienze, si figura il vero oggetto del nostro parlare: noi stessi intesi non più come “Gli animali” ma come “animali tra gli animali”, pronti a accettare quell’altro che si figura in mille modi ma che è esemplificato dolcemente dal finire di tutte le cose, la morte, proprietà necessaria e non contingente.
Nell’albergo di Adamo. La “questione animale e la filosofia”
Come già ampiamente discusso nell’introduzione i rapporti tra filosofia e questione animale sono complessi e non è facile chiarire le dinamiche attraverso cui si è sviluppata la letteratura scientifica che cerca di coniugare, o meglio, di fondere queste due categorie. In questo testo assistiamo ad un fenomeno articolato in cui dodici autori (due dei quali sono anche i curatori del testo stesso), divisi in gruppi da tre, si passano un testimone filosofico (talvolta scientifico) per discutere il loro modo di approcciarsi ai problemi inerenti alla questione animale. Leggendo il testo si ha l’impressione di partecipare ad un enorme esperimento mentale4 in cui si attraversa un albergo molto particolare. Come tutti gli alberghi che si rispettino, anche questo ha una hall (a cui si può accedere solo dopo aver letto un avviso degli albergatori); il viaggiatore (lettore) che si addentrerà in questo albergo potrà ascoltare le opinioni filosofiche di tre personaggi, Carol J. Adams, Vinciane Despret e Roberto Marchesini che avranno il compito di guidarci attraverso le stanze dell’albergo, che scopriremo poi essere stanze molto diverse tra loro ma con una vista sullo stesso mare. Le stanze del nostro albergo sono cinque, così come sono cinque gli inquilini di queste stanze; la prima stanza è abitata da Enrico Giannetto che, nonostante la veste scientifica, sceglie di raccontarci una storia che riguarda Heidegger e il Carnologofallocentrismo; inoltrandoci lungo i corridoio dell’albergo possiamo bussare nella stanza di Matthew Calarco che ci metterà di fronte al volto animale, dipenderà probabilmente dalla nostra reazione la permanenza in questa stanza… Proseguendo il nostro cammino ci imbatteremo nella terza stanza al cui centro, seduto su una sedia che sa di disperazione, troveremo Gianfranco Mormino che, quasi in un vicolo cieco, ci racconta la normale sacrificabilità dell’animale. Rimangono due stanze da visitare, nella penultima Filippo Trasatti mostra il processo filosofico del divenire – animale già esplicitato da Deleuze e, dulcis in fundo, nell’ultima stanza Zipporah Weisberg ci farà promesse mostruose. Arrivati a questo punto, probabilmente, viene voglia di fuggire. Si cercano le uscite di sicurezza… Inaspettatamente sono quattro ma tutte protette da quattro personaggi inquietanti, perché portatori di verità che potrebbero intrappolarci nell’albergo; Marco Maurizzi, Massimo Filippi, Melanie Bujok e Ralph R. Acampora ci sbarrano, ognuno, la propria porta che rappresenta per noi l’unico modo di uscire dalle nefandezze dell’albergo ma per loro la consapevolezza terribile che qualcuno in quell’albergo ci rimarrà per sempre per volere di colui che, biblicamente, ci rappresenta tutti… Adamo colui che attraverso la nominalizzazione degli animali li ha trasformati in cose per volere divino. A questo punto la tristezza del viaggiatore sembra irrimediabile ma una luce da una finestra lontana gli illumina lo sguardo… una possibilità per liberare gli inquilini dell’albergo esiste ancora e il primo passo e proprio visitare la loro prigione.
1 Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte, Massimo Filippi, Ombre Corte, 2010
2 Nell’albergo di Adamo. La questione animale e la filosofia, Massimo Filippi e Filippo Trasatti (a cura di), Mimesis, 2010
3 L’uso del linguaggio è un aspetto fondamentale della questione animale. In generale per riassumere una questione (che ha origine almeno con Sapir – Whorf) complessa potremmo dire con D. de Kerckhove, “Il linguaggio è il software che dirige l’organismo umano. Qualunque tecnologia eserciti un influsso significativo sul linguaggio influirà necessariamente anche sul comportamento sul piano fisiologico, emotivo e mentale. L’alfabeto è come il programma di un computer, ma molto più potente, più preciso, più versatile e più globale di qualunque altro programma mai scritto. Un programma progettato per far funzionare lo strumento più potente che esista: l’uomo stesso. L’alfabeto si è fatto strada all’interno del cervello per definire le routine su cui si basa il firmware del brainframe alfabetico. L’alfabeto ha creato due rivoluzioni complementari, una nel cervello, l’altra nel mondo”. (D. de Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato. Come le tecnologie della comunicazione trasformano la mente umana (1991), a cura di B. Bassi, Bologna, Baskerville, 1993, p. 39.)
4 Un esperimento mentale o esperimento concettuale (in tedesco Gedankenexperiment, termine coniato dal fisico e chimico danese Hans Christian Ørsted) è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato: i suoi risultati non vengono quindi misurati, ma calcolati teoricamente in base alle leggi della fisica.