(di Vittorio Malagutti)
Gianroberto Casaleggio? Un inguaribile ottimista. Poco più di un anno fa, presentando il suo pamphlet "Siamo in guerra" scritto con l'amico Beppe Grillo, il manager milanese dalla chioma boccoluta spiegò che «un euro investito nella Rete porta da un euro e cinquanta a due euro di ritorno economico sicuro». Testuale. Il video con l'intervista è reperibile su YouTube. Non sappiamo a quali fonti Casaleggio abbia attinto per lanciarsi in quella che sembra una sparata da bar sport. Un ritorno sicuro (sicuro?) del 50 o addirittura del 100 per cento. E in quanto tempo? Un giorno, un anno, un secolo? Non è dato sapere. Così prodigo di parole quando illustra le magnifiche sorti e progressive della Rete, il guru del grillismo sfugge a ogni richiesta di chiarimenti sui rapporti tra la sua azienda, la Casaleggio associati, e il Movimento Cinque Stelle, che Casaleggio ha contribuito a fondare.
Questione di affari. Questione di soldi. Perché, come noto, dal rapporto tra il manager e il comico è nato il frequentatissimo blog beppegrillo.it. Un sito che diffonde il verbo di Grillo e allo stesso tempo raccoglie pubblicità a pagamento e vende libri e dvd. Quanto incassa il blog? In che misura la popolarità del movimento si traduce in profitti per un'azienda privata come la Casaleggio associati?
Per realizzare questa inchiesta giornalistica, per avere spiegazioni e dettagli sulle informazioni raccolte, "l'Espresso" ha cercato di contattare l'uomo che a fianco di Grillo guida la macchina del partito più votato in Italia alle elezioni politiche di febbraio. Nessuna risposta. Grillo invece nelle settimane scorse ha liquidato la questione con un consiglio che non ammette repliche. «Guardatevi il bilancio della Casaleggio associati depositato alla Camera di commercio. È tutto spiegato lì». Così parlò il leader maximo dei Cinque Stelle. Il quale sa (o dovrebbe sapere) che in quelle carte non è spiegato proprio niente. Perché l'azienda del suo sodale, una società di consulenza strategica dedicata alla Rete, ricava denaro anche da attività diverse dalla gestione del blog grillino. E nel bilancio (l'ultimo disponibile è quello del 2011) non viene fornita nessuna indicazione sui clienti.
Resta aperta la questione di fondo. Un blog che di fatto è l'organo d'informazione di un partito politico dovrebbe pubblicare un bilancio vero e proprio o quantomeno l'elenco dei propri finanziatori. Niente bilanci, invece. Almeno finora. Bisogna quindi accontentarsi delle stime formulate dagli operatori di mercato, che accreditano beppegrillo.it di un fatturato non superiore ai 300 mila euro l'anno. A cui andrebbero aggiunti i ricavi editoriali (vendita di libri e dvd) che però valgono, a essere generosi, qualche decina di migliaia di euro. Insomma, siamo lontani dalle stime milionarie circolate di recente. E allora, se il blog di Grillo non è una macchina da soldi, come sbarca il lunario la Casaleggio associati? Ci sono le consulenze per le aziende. E poi la vendita di studi e ricerche sul business della Rete.
Alla fine però si scopre che molti soldi sono arrivati grazie al finanziamento pubblico dei partiti. Il denaro che ha ingrassato la politica, bersaglio polemico numero uno del Movimento Cinque Stelle, ha messo il turbo anche ai conti di Casaleggio. Nientemeno.
Nel 2010 la macchina s'inceppa. Il contratto di consulenza finisce nel mirino dell'ala moderata dell'Idv. Di fatto Casaleggio usava i soldi dell'Italia dei Valori per sostenere il blog di Grillo e quindi anche il movimento Cinquestelle, percepito dai dipietristi come un concorrente sempre più pericoloso. Fine della storia, allora. Cose che capitano, se non fosse che la società del guru grillino perde per strada una fetta importante del suo fatturato. Per tappare il buco non erano certo sufficienti i soldi dell'editore Gems (Mauri Spagnol) e della controllata Chiarelettere, che ha pubblicato alcuni dei testi di riferimento del grillismo militante. Il contratto di consulenza con la casa editrice vale circa 100 mila euro l'anno. Tra il 2009 e il 2010 Casaleggio ha tentato di mettere un piede anche nel "Fatto quotidiano". L'amico di Grillo puntava alla gestione tecnica del sito di news del giornale e come compenso chiedeva il 30 per cento dei proventi pubblicitari. Di più: il consulente a Cinque Stelle pretendeva anche di intervenire sulla linea editoriale. Non se n'è fatto niente.
Adesso, a giudicare dai conti, non è che la Casaleggio associati se la passi benissimo. Nell'arco di cinque anni ha perso per strada la metà del fatturato, crollato da 2,8 milioni (dato 2006) a 1,4 milioni circa. Questi però sono numeri vecchi, datati. Quelli del 2012 ci aiuteranno a capire se davvero il boom dei Cinque Stelle ha messo le ali agli affari del suo fondatore. Purtroppo il bilancio dell'anno scorso non è ancora disponibile e il padrone della ditta, fedele alla linea del silenzio, si tiene stretti i dati aggiornati.
Casaleggio però dev'essere ottimista sul futuro prossimo, perché continua ad assumere gente. I suoi dipendenti, secondo quanto dichiarato alla Camera di commercio, alla fine del 2011 erano solo sette. Dodici mesi dopo erano già diventati una dozzina. E ancora non basta, perché scrutando sul Web si scopre che la Casaleggio associati è alla ricerca di due nuovi collaboratori. Insomma, anche al netto di eventuali partenze e dimissioni, l'azienda cresce. E se l'organico aumenta vuol dire che il lavoro non manca. Certo non sarà facile tornare ai bei tempi di qualche anno fa, quando venivano distribuiti ricchi dividendi agli azionisti. E cioè Gianroberto Casaleggio e il figlio Davide, che insieme possiedono il 57 per cento del capitale, e poi Mario Bucchich, Luca Eleuteri ed Enrico Sassoon. Tra il 2006 e il 2008 questi soci si sono spartiti in totale circa 1,6 milioni di euro con ricavi che viaggiavano intorno ai 2,5 milioni all'anno.
L'anno scorso invece niente dividendi, perché il bilancio 2011 ha chiuso in perdita di 58 mila euro. Nel frattempo se n'è andato anche l'azionista Sassoon. Era stanco, come ha spiegato in un'intervista, di essere tirato in ballo nelle polemiche in Rete tra i grillini e i loro avversari. Uno di loro, Maurizio Benzi, si è anche candidato (non eletto) alle ultime elezioni politiche in Lombardia. Un altro invece si è messo sulle orme del capo. Filippo Pittarello, spesso al fianco di Grillo nelle tappe dello tsunami tour, tre anni fa ha creato una propria società di consulenza insieme ai fratelli, la Ipitt srl.
Pochi mesi dopo Casaleggio venne confermato al suo posto anche da Marco Tronchetti Provera, che rilevò il controllo di Telecom da Colaninno e soci. A luglio 2003 arriva il ribaltone. Il gruppo Webegg viaggiava in profondo rosso (12 milioni di perdite nel 2002 su 80 di fatturato) e il numero uno viene sostituito perché l'azionista, cioè Telecom, "non ne condivideva la politica commerciale e gestionale", come si legge nei documenti ufficiali dell'epoca. Addio Webegg. Casaleggio era già pronto a salpare per la sua nuova avventura. Al volante della macchina di Grillo (di Vittorio Malagutti)
(...che i rapporti fra la Telecom di Tronchetti - fino a ieri proprietaria de "La7" - e Casaleggio, abbiano "orientato" negli ultimi anni la linea editoriale della rete, tutta tesa a promuovere il grillismo? NdR)
Quei conti che non quadrano (di Andrea Palladino)
o i revisori. I conti del movimento politico di Grillo sono stati pubblicati sull'organo ufficiale e sede unica dell'associazione, il blog dell'ex comico.
Numeri "certificati" Grillo, nella doppia veste di tesoriere e controllore di se stesso. Partiamo dalle spese. Leggendo la stringata tabella delle uscite - appena 14 le voci riportate, senza nessun riferimento ai fornitori - si ha la sensazione che qualcosa manchi. Ad esempio - come fa notare uno studio della Casa della Legalità di Genova - relativamente al costo dell'allestimento dei palchi compaiono solo le spese per il comizio conclusivo di piazza San Giovanni (52.009 euro). Neanche una parola sulle altre tappe dello Tsunami tour, che - secondo lo stesso blog - è durato 40 giorni, coprendo l'intero Paese. Decine di strutture da montare, con relativa amplificazione, costi che non risultano nei conti del movimento. Zero spese per le risorse umane: gratis ha lavorato evidentemente Walter Vezzoli, l'autista collegato alle 13 società del Costa Rica; nessun compenso risulta aver ricevuto l'esperto di social network Pietro Dettori, dipendente della Casaleggio. Tutti volontari.
La colonna delle entrate è composta da un lunghissimo elenco di nomi che hanno effettuato piccoli bonifici o donazioni con carta di credito. Mancano però i soldi derivati dalla vendita del merchandising, presente con diversi stand in piazza San Giovanni e in quasi tutti i banchetti durante la campagna elettorale. Non c'è poi nessun rimando ai conti dei gruppi locali, che molto spesso gestiscono in proprio diversi account Paypal per la raccolta dei fondi, oltre ai contanti racimolati in vista del voto. Non è infine chiaro se i conti pubblicati siano stati riportati all'interno del bilancio del Movimento Cinque Stelle costituito prima delle elezioni. Di quei conti non c'è traccia sul blog, come non c'è traccia dell'assemblea che avrebbe dovuto approvarli (Andrea Palladino)
Parole nel vuoto - Che vecchiume in quel nuovismo...
(di Massimo Cacciari)
Esistono comportamenti nella politica nazionale che sembrano spiegabili solo ricorrendo alle più pessimistiche delle antropologie. L'incapacità di avviare qualsiasi seria riforma, la nauseante ripetitività, che perfino il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha dovuto avvertire, del discorso sui trent'anni buttati, sono forse la spia di un nostro "male radicale". L'"asse che non vacilla" della nostra cultura politica, nei rapporti tra partiti così come all'interno di ognuno di essi, consiste nell'impedire che la competizione giunga a vere conclusioni e chi vince vinca davvero.
Democrazia, invece, piaccia o no, significa competizione tra élite per governare con efficacia e efficienza. Se il sistema funziona al contrario, la dialettica democratica si trasforma in assemblea "discutidora" e la sovranità popolare in ideologia buona a nascondere l'impotenza degli esecutivi. Preoccupazione essenziale di chi non ne fa parte è costringerli a un defatigante lavorio di opportunistici accomodamenti, che è l'opposto di ogni coerente compromesso, lavorio dal quale ogni provvedimento esce stravolto o indebolito, così che, alla fine, risulta impossibile imputarlo con chiarezza a qualcuno. Il sistema genera perciò deresponsabilizzazione e forma l'humus ideale per ogni pratica trasformistica (altro atavico peccato nazionale).
Da questo antichissimo vizio sembrano non essere immuni l'"uomo nuovo" Renzi e neppure il "nuovissimo" Grillo. Quest'ultimo, anzi, appare anche culturalmente l'alfiere della "consuetudo patria" consistente nella legge non scritta per cui conta, anzitutto, che un governo non sia più forte del minimo indispensabile per sopravvivere. La maniacale esaltazione del grillismo sul "controllo" (quel refrain: noi siamo i "giusti" chiamati nelle istituzioni per verificare, certificare, sorvegliare e punire), l'ossessione della trasparenza (tutti ottimi valori ma che valgono, ovviamente, solo se possono applicarsi all'azione di effettivi governi e ne presuppongono perciò la formazione), tutto questo armamentario retorico è quanto di meno "rivoluzionario" si possa immaginare rispetto alle tradizioni del Paese.
Analogo ragionamento si potrebbe tentare a proposito del discorso sul partito politico. Tutto il "nuovismo" sembra tenerlo in gran dispetto. Le sue mode lo considerano obsoleto. Ed è posizione quanto mai trasversale: partito non è certo, infatti, quello di Berlusconi, né quello di Grillo, né la sua idea parrebbe coerente con comportamenti e strategia del giovane Renzi.
Grillo teorizza esplicitamente una democrazia diretta di movimenti e sondaggi Web, senza partiti. Cosa che in natura non si è mai data, né mai si darà, ma è tenace componente di certa cultura di sinistra, come di destra: il partito deve "sciogliersi" nel movimento e il movimento nel popolo.
Renzi non lo teorizza, ma opera spesso in senso analogo. Che altro significato può avere la sua ambizione al premierato senza puntare, allo stesso tempo, alla guida del partito che a quel ruolo dovrebbe candidarlo? Su quale pianeta il premier non è anche il capo riconosciuto del partito che lo esprime? E come è immaginabile un esecutivo davvero forte e capace di riforme se (come accade ora) i suoi membri non tengono in mano anche le redini della maggioranza parlamentare? Misteriose alchimie che si fanno subito chiare non appena ricordiamo la cultura politica di cui sono espressione: governi deboli e partiti-non-partiti sono due facce della stessa medaglia. Ed è tale debolezza a permettere che ogni "competitore" continui a godere di rendite, a esercitare diritti di veto, e a tutti di mascherare le proprie responsabilità. E di accusare di disfattismo chi denuncia l'intollerabilità della situazione e ne ricerca le cause (Massimo Cacciari)