I conti in tasca al jobs act di Renzi

Creato il 20 gennaio 2014 da Keynesblog @keynesblog

Per dare davvero un assegno a tutti quelli che hanno perso il lavoro servono almeno 18 miliardi. Dove trovarli, se non si vuole aprire la guerra per una redistribuzione tra poveri?

di Nicolò Cavalli da Thinking Pagina 99

“Proporremo che il patto di coalizione sia un file Excel”, ha detto domenica Renzi al Corriere della Sera. “Nella prima casella si indica la cosa da fare, nella seconda i tempi in cui la si fa, nella terza il responsabile che la fa.” Diretto. Semplice. Eppure anche la vita in Excel può essere complicata. A dimostrarlo le simulazioni di Pagina99 sul Jobs Act, annunciato nei suoi punti fondamentali nella E-News l’8 gennaio. Una delle proposte portanti del Jobs Act renziano è il sussidio universale di disocccupazione. Quanto costa? I nostri calcoli si basano su tre possibili ipotesi sulla forma che potrebbe prendere tale assegno: 1) un sussidio unico destinato solo a disoccupati ex-dipendenti che hanno perso il lavoro da più di un anno 2) un assegno con copertura maggiore, destinato a tutti quelli che hanno perso il lavoro e ne cercano un altro (chiameremo questa la proposta Renzi, poiché pare la più vicina alle intenzioni del segretario del Pd); 3) un sostegno ancora più esteso, che comprende anche le persone in cerca di prima occupazione (ipotesi reddito minimo). Alle attuali condizioni della disoccupazione, la  proposta Renzi  costerebbe 18 miliardi di euro – 9 in più della spesa attuale per ammortizzatori sociali a carico del bilancio pubblico. Una cifra che potrebbe richiedere, in assenza di una rimodulazione del carico contributivo, la cancellazione o una radicale riduzione di tutti gli attuali strumenti di ammortizzatori sociali, compresa la Cassa integrazione.

I nostri calcoli sono qui (nota a margine, abbiamo usato anche Stata):

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Gli ammortizzatori in Italia: frammentati e inefficienti

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura. Sembra Dante eppure è l’esperienza che un lavoratore o una lavoratrice in Italia si trova ad affrontare ogni qual volta rischia di perdere il proprio posto. Cigs, Cigo, cassa in deroga, Aspi, mini-Aspi, indennità di mobilità, assegni di disoccupazione ordinaria e ridotta. Requisiti minimi, contributi figurativi, 52 settimane o 78 giorni. E’ ampissima la varietà di strumenti che costituisce il sistema degli ammortizzatori sociali. Così come la loro inefficienza: non solamente i sussidi italiani sono tra i più bassi d’Europa ma, secondo stime di Bankitalia, per il modo in cui i requisiti d’accesso sono impostati, nel 2010 erano oltre 1,6 milioni i disoccupati che non avevano alcuna forma di sostegno al reddito.

Basandosi su dati Isfol-Plus e Inps, l’economista Michele Raitano ha stimato per la Cgil  che il 13,7 e il 48% dei dipendenti rispettivamente a tempo indeterminato e determinato non ha diritto alla tutela ordinaria (l’attuale Aspi, introdotta dalla riforma Fornero) e che, tra questi, solo il 16 e il 21,3% può accedere a quella ridotta o mini-Aspi. Questo significa che, con i 3,2 milioni di disoccupati odierni e applicando queste percentuali alla quota di disoccupati in base al tipo di contratto precedente, il numero di persone in cerca di lavoro senza alcuna forma di sostegno al reddito si aggira oggi verosimilmente attorno agli 1,8 milioni (oltre 2 se si prendono in considerazione anche i giovani in cerca di prima occupazione). Questo implica, a sua volta, che poco meno della metà degli attuali beneficiari di sussidi (erano in totale 2,2 milioni nel 2012) sono inattivi – cioè non stanno cercando lavoro perché scoraggiati. Così, mentre le fasce di lavoratori più deboli sono anche quelle più scoperte nelle fasi di disoccupazione, esiste una platea di persone disincentivata alla ricerca di un nuovo lavoro.

Le proposte di riforma

E’ chiaro dunque che un sistema così frammentato e inefficiente richiede una profonda razionalizzazione. La proposta contenuta nel Jobs Act di Renzi, annunciato nei suoi elementi fondamentali nella E-News che il sindaco di Firenze ha fatto circolare mercoledì 8 gennaio, comprende un “assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.” Sono tanti i nodi della proposta. Dagli ambienti del partito vicini al segretario fanno notare che quello di Renzi era solo l’inizio di una discussione che si prevede lunga, mentre un team di economisti sta lavorando sui dettagli più tecnici del Jobs Act. Eppure, a Pagina99 risulta che queste commissioni non siano ancora state costituite. E la direzione di oggi del Pd, in cui si sarebbe dovuto parlare delle riforme targate Matteo Renzi, rischia di essere travolta da temi di cabotaggio politico: dal caso Nunzia De Girolamo all’indagine sul responsabile welfare Matteo Faraone fino alla legge elettorale.

Prima di Renzi, nella direzione di un sussidio unico di disoccupazione si sono mosse altre ipotesi di riforma. Una, targata Tito Boeri e Pietro Garibaldi, rappresenta il prototipo seguito dal team economico del Pd. Si tratta di un assegno a tutti i disoccupati per due anni, indipendentemente dal tipo di contratto, che parte dal 65% del precedente stipendio per i primi sei mesi, con décalage al 55% tra il settimo e il diciottesimo mese e a 500 euro mensili (l’assegno minimo, garantito a tutti) fino al ventiquattresimo mese di disoccupazione. In un articolo del 2009 su lavoce.info, i due economisti calcolano che, a regime, un sistema del genere costerebbe 15,5 miliardi di euro con l’8% di disoccupazione e un sussidio medio di 750 euro mensili. Sostituendosi a tutti i sussidi esistenti (eccezion fatta per la Cassa integrazione ordinaria) il costo netto sarebbe stato di 6,5 miliardi. Boeri e Garibaldi propongono di finanziare il sussidio fissando un contributo pari al 3,3 per cento della retribuzione su tutti i lavoratori dipendenti. Eppure, già nei calcoli dei due economisti, una disoccupazione al 10% avrebbe richiesto un costo totale di 19 miliardi di euro – 7,5 a carico della fiscalità generale. E con una disoccupazione, come quella di oggi, al 12,7%? Le stime di Pagina99 conducono a considerare che, oggi, la proposta di sussidio Boeri-Garibaldi costerebbe oltre 24 miliardi di euro.

I costi della proposta-Renzi

E’ dunque probabile che gli economisti vicini a Renzi si orienteranno per una proposta diversa. Nello scenario di base stimato da Pagina99, il sussidio di disoccupazione è semplicemente un assegno che copre una percentuale (il 65%) del precedente stipendio senza décalage, con la possibilità di introdurre un sussidio minimo di 500 euro al mese per tutti i disoccupati attivi sotto quella soglia – compresi quelli di lungo periodo (cioè disoccupati da più di un anno). Applicando alla forza lavoro dell’ultima rilevazione Istat (25.545.000 persone) il tasso di disoccupazione del 12,7% registrato nel novembre 2013 si ottiene che, in Italia, ci sono oggi 3.244.15 di disoccupati. Tra questi, la maggioranza relativa aveva in precedenza un contratto di lavoro a tempo determinato. A partire dalla composizione della disoccupazione per precedente contratto, abbiamo ottenuto una stima della media ponderata della retribuzione di un disoccupato pari a 16mila euro annuali lordi – per un sussidio medio pari a 10mila euro mensili lordi (poco meno di 800 euro netti al mese).

Utilizzando dati Eurostat, abbiamo inoltre differenziato lo stock di disoccupati per durata (ovviando in questo modo al problema della ricostruzione dei flussi) assumendo che, all’interno di ogni categoria, i disoccupati sono distribuiti normalmente. Questo ci ha permesso di calcolare quanti mesi di sussidio ognuna delle categorie riceve in un anno (ad esempio, l’11,9% dei disoccupati lo è da più di un mese e meno di tre mesi: questi riceveranno 9,5 mesi di sussidio in un anno) e quindi il costo totale effettivo. E’ a questo punto che abbiamo differenziato tre possibili articolazioni del sussidio in base alla platea che potrà accedervi.

La prima ipotesi, che abbiamo denominato “sussidio unico”, esclude tutti coloro che sono disoccupati da più di un anno (il 53% del totale) e i giovani in cerca di prima occupazione. Si tratterebbe di fatto di una razionalizzazione degli attuali strumenti di ammortizzazione sociale e il suo costo, nel 2013, sarebbe stato pari a circa 9 miliardi. Questa ipotesi lascerebbe tuttavia scoperti quasi 2 milioni di disoccupati, senza dunque portare alcun miglioramento marginale al numero di beneficiari odierno nonostante l’esclusione degli inattivi oggi beneficiari dai sussidi. La seconda ipotesi, che chiamiamo “proposta Renzi”, include invece tutti i disoccupati (esclusi i giovani in cerca di prima occupazione): di conseguenza il costo  sale sensibilmente, fino a 18 miliardi di euro per coprire oltre 2,9 milioni di disoccupati (il 92% del totale). E’ questa probabilmente la proposta più vicina all’idea del segretario del Pd. Trasformando infine il sussidio in un “reddito minimo” – applicando cioè ai giovani in cerca di prima occupazione l’assegno minimo di 500 euro mensili – il costo sale ulteriormente a 20 miliardi.

E le coperture?

Le stime appena mostrate segnalano come la proposta di Renzi abbia innanzitutto un problema di copertura. Come ricavare i 18 miliardi che servirebbero? Superando le attuali forme di sussidio a esclusione della Cassa integrazione la fiscalità generale potrebbe ricavare, sulla base dei dati Inps del 2012, almeno 9 miliardi. Cioè solo la metà del costo totale della proposta. Come trovare gli altri? Renzi ha dichiarato esplicitamente che tutti i suoi sforzi sono volti ad abbattere il cuneo fiscale, quindi la proposta Boeri-Garibaldi di alzare i contributi fiscali sul lavoro dipendente va esclusa.

Un’altra ipotesi, circolata negli ambienti vicini al partito, è quella dell’azzeramento dei trasferimenti alle varie forme di Cassa integrazione: per lo stato si è trattato nel 2012 di un esborso di 3,4 miliardi di euro – per un risparmio totale di 13 miliardi. La criticità legata a una ipotesi di questo tipo è legata al fatto che la Cig non è un sussidio di disoccupazione ma uno strumento assicurativo nei confronti di cali temporanei della domanda di lavoro. Poiché risponde a una ratio diversa, in paesi come la Germania la cassa integrazione (kurzarbeit) convive al fianco del sussidio di disoccupazione.

Eppure, anche decidendo di eliminare i sostegni alla cassa integrazione confinandone il finanziamento a rapporti tra privati, mancherebbero ancora 5 miliardi all’appello. Per trovarli senza ricorrere alla fiscalità generale o ai contributi sul lavoro dipendente rimane l’opzione di intervenire sul delicato tema dei contributi figurativi. Questi sono contributi accreditati dall’Inps sul conto del lavoratore durante le interruzioni o le riduzione dell’attività lavorativa, cioè quando non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro.

Nel 2012, ammontavano a 5,6 miliardi per la disoccupazione, 1,2 miliardi per la mobilità e 2,8 miliardi per la Cassa integrazione (814 milioni per la Cigo, 1,2 per la Cigs e 804 milioni per la cassa in deroga). Si tratterebbe di una redistribuzione tra poveri. Cosa succederebbe se, davvero, Matteo Renzi seguisse questa strada?


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