I contributi pubblici ai quotidiani

Da Kobayashi @K0bayashi

L’assemblea del Senato della Repubblica, con 232 voti a favore, 18 contrari e 30 astenuti, ha licenziato per la Camera dei Deputati il ddl n°3305 di conversione del decreto-legge del 18 maggio 2012 n°63 recante “Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale” approvandolo in prima lettura dopo averlo esaminato assieme al connesso ddl n°3251 relativo alla stessa materia d’azione. Durante l’esame del testosono stati approvati anche alcuni emendamenti, tra cui due articoli aggiuntivi in tema di contributi a favore dei periodici italiani pubblicati all’estero e di delegificazione per periodici web di piccole dimensione.

Il decreto sull’editoria, di fatto, ridefinisce i requisiti di accesso ai contributi pubblici per il settore da parte della stampa di partito e delle società editoriali a matrice cooperativa, rendendoli più selettivi e introducendo nuove regole derivate da principi per altro già resi noti in precedenza da Paolo Peluffo, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con delega a informazione, comunicazione ed editoria: più legati alle copie effettivamente vendute e non più alla sola diffusione, subordinati alla regolararità contrattuale di giornalisti e poligrafici e alla presenza di sforzi per il passaggio dal cartaceo all’online.

Il testo approvato fissa il rapporto minimo tra le copie vendute e quelle distribuite nelle edicole (escludendo quindi, ad esempio, le vendite in blocco) a quota 25% (e non più al 15% come in precedenza) per le testate nazionali e al 35% quello per le testate locali: le prime, in particolare, grazie a un emendamento della Lega Nord, saranno considerate tali a condizione che siano distribuite in almeno 3 regioni (contro le 5 necessarie in precede,nza) e che abbiano una percentuale di distribuzione in ciascuno di questi territori pari ad almeno il 5% della propria distribuzione complessiva.

Per quanto riguarda gli aspetti occupazionali, invece, le società editrici per essere considerate tali dovranno essere composte da almeno 3 (se editrici di un periodico) o 5 dipendenti (se editrici di un quotidiano) con contratto a tempo indeterminato per l’intero esercizio di riferimento tra poligrafici, grafici editoriali e giornalisti – con questi ultimi che dovranno rappresentare la maggioranza della forza lavoro assunta; le cooperative editrici, inoltre, dovranno dimostrare anche di occupare la maggioranza dei soci dipendenti con un contratto a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda i costi ammissibili al fine del calcolo del contributo pubblico spettante a ciascuna testata sarà conteggiata una quota fino al 50% dei costi sostenuti per il personale dipendente per un importo massimo di 120mila o 50mila euro annui per rispettivamente ogni giornalista e ogni poligrafico assunti con contratto a tempo indeterminato per l’acquisto di carta, per la stampa del giornale e per gli abbonamenti ai notiziari delle agenzie di stampa. Esclusi dal rimborso, invece,  i canoni di locazione degli immobili destinati ad attività di produzione del prodotto stampato e i costi di distribuzione.

Un emendamento presentato dal Partito Democratico, poi, ha fissato i tetti massimi di contributo statale all’editoria per ogni singola testata: in ogni caso l’importo concesso alle società editrici non potrà superare i 2,5 milioni di euro per i quotidiani nazionali, gli 1,5 milioni per i quotidiani locali e per i quotidiani digitali online e i 300mila euro per i periodici. I costi riconosciuti per ogni copia venduta sono stati fissati in 0,25 euro per i quotidiani nazionali, in 0,20 euro per i quotidiani locali, in 0,40 euro per i periodici.

Novità anche per le testate online e le imprese editrici di prodotti all digital: l’editoria digitale, infatti, è stata praticamente “delegificata” (con una semplificazione delle norme giuridico-formali) grazie a un emendamento che ha stabilito che “le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica, ovvero online, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100mila euro”, non saranno soggetti agli obblighi di legge previste per la stampa cartacea. Alla voce ricavi vanno intesi quelli “derivanti da abbonamenti e vendita in qualsiasi forma, ivi compresa l’offerta di singoli contenuti a pagamento, da pubblicità e sponsorizzazioni, da contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati”.

Per spingere l’acceleratore sul digitale e favorire il passaggio dal cartaceo all’online l’articolo 3 del “decreto editoria” ha previsto anche ulteriori agevolazioni per le testate che beneficiano dei contributi statali all’editoria: nel caso di sbarco su internet della testata, con la pubblicazione in formato digitale anche in modo non esclusivo e/o a titolo non oneroso, quest’ultima sarà esonerata dai requisiti di accesso al contributo pubblico necessari per il segmento cartaceo purché riesca a garantire almeno 240 uscite annuali e 10 articoli al giorno (nel caso dei quotidiani), 45 uscite (nel caso dei settimanali e dei plurisettimanali), 18 uscite (nel caso dei quindicinali) o 9 uscite (nel caso dei mensili), ciascuna delle quali di almeno quattro pagine.

Come preannunciato dallo stesso Peluffo, infine, dal primo gennaio del 2013 le edicole e i rivenditori di prodotti editoriali dovranno garantire la tracciabilità delle vendite e delle rese dei giornali quotidiani e di quelli periodici grazie al sistema dei codici a barre.


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