I cormorani di Nicola Cipolla

Creato il 19 marzo 2014 da Casarrubea

Copertina del libro di Nicola Cipolla

Nicola Cipolla, Diario di un socialcomunista siciliano (tra memoria e futuro), Editori Riuniti university press, 2014

Come definirlo? La parola giusta è combattente. Uno di quelli che non si tirano indietro alle prime scaramucce, ma che si sono abituati ad avere la schiena dritta e a seguire una bussola, anche di notte, e con un mare in tempesta. Longevo nelle sue lotte. Molti hanno ceduto prima, nel fuoco vivo e bruciante dello scontro. Lui no. Ha resistito fino ad oggi, quando mantenere la barra dritta è diventato un problema e anche i capi dei partiti si sono trasformati in canne al vento. Facendo di questa degenerazione un merito, una qualità nuova, quasi una capacità pregevole del sapersi adattare ai tempi nuovi.

Nato ad Agrigento il 14 gennaio 1922, Nicola Cipolla è una vecchia quercia esposta a tutte le intemperie. Un nonno che continua a sognare perché non ha mai perso la passione del militante, e un certo sguardo da bambino. A novantadue anni suonati è in piena mobilitazione e quando decide di sedersi lo fa per raccontare la storia di quel sogno che molti ormai non capiscono più. Racconta una storia dimenticata, scaricata in soffitta, come tutte le cose ormai inutili, da rimuovere dalla vista  anche se hanno fatto parte della nostra vita. Ma per lui il tempo è ancora lì, fermo per una volontà imperscrutabile. Gli chiede conto non di ciò che ha fatto, ma di quello che hanno fatto gli altri. Del mondo che è girato confondendo uomini e cose, sovvertendo il senso delle parole, corrompendo i valori.

Combattenti come lui la Sicilia ne ha avuti molti. Della stessa età di Emanuele Conti, il dirigente comunista di Messina, amico di Montalbano, Li Causi e Togliatti, scomparso nel 2010 ha in comune con lui la tempra salda del costruttore di una società nuova dove le battaglie compiute contro il fascismo per un’Italia democratica e civile, hanno gettato le basi del mondo in cui viviamo. Perciò ripercorrere la storia di uomini e dirigenti come loro, spesso isolati e boicottati, ci aiuta a capire meglio le nostre radici e il nostro futuro.

Al pari di Emanuele, Nicola ci consegna con il suo Diario di un socialcomunista, i passaggi salienti della storia siciliana e nazionale. Attraverso il fascismo, il dopoguerra e la crisi della sinistra. Fascismo e intellettuali. Tema assai trascurato. Ad esempio, quando, dopo il 1936, Nicola si trasferisce a Palermo e frequenta il liceo Umberto. Il suo punto di riferimento sono alcuni professori universitari antifascisti: Edoardo Gugino, il padre del fotografo Enzo Sellerio, il professore Corradino Mineo. Suoi compagni di classe Mario Mineo, Nino Sorgi e altri che ebbero un ruolo particolare nell’attività antifascista clandestina. Tutti combattenti, a modo loro, una battaglia culturale che non si integrava nella retorica patriottarda, ma aveva personalità come Salvatore Russo di Mazzarino, Gastone Canziani, poi dirigente socialista di Palermo e amico di Danilo Dolci. Nel capoluogo siciliano conosce Franco Grasso e tramite lui entra nel salotto di Pasqualino Noto, in contatto, tramite la moglie, con la Galleria d’Arte Corrente di Milano frequentata da Renato Guttuso, Ernesto Treccani e Aligi Sassu. Insomma – ci dice Cipolla – il fascismo rappresentò in Sicilia anche un particolar modo di essere dei benpensanti illuminati che seppero aprire, sotto la coltre grigia dell’ideologia imperialistica, una via percorribile per la cultura liberalsocialista.

Ma Cipolla è soprattutto un dirigente politico e sindacale immerso nella temperie delle lotte per il riscatto del popolo siciliano. Sue sono le battaglie contro la privatizzazione delle acque e per la costruzione delle dighe, come la diga Garcia di Roccamena (cento milioni di metri cubi di acqua) che tanto lo accomuna alle lotte per lo sviluppo di Danilo Dolci, contro la mafia di Vanni Sacco. Non è superfluo perciò evidenziare come l’azione di uomini come lui, Girolamo Li Causi e Girolamo Scaturro, sia servita a rompere il latifondo feudale, ad esempio il feudo Miccichè di Villalba controllato da Calò Vizzini, e a farci conoscere nella sua quotidianità cruda la vita dei ceti subalterni. La loro azione di riscatto era diretta a loro (nell’articolarsi dei vari gradi di ‘burgisi’, dei canoni gravanti sulla terra, del carattere feudale e non contrattuale dei patti agricoli, ecc.). Un mondo perduto, ma che consente adesso di guardarne le modificazioni dovute alle lotte come se derivassero da un’invenzione poetica: il nuovo paesaggio agrario che si è determinato là dove un tempo c’era solo l’aridità della solitudine, i cormorani e gli aironi cinerini  e tutti gli altri uccelli migratori che si posano sulle acque dei bacini artificiali, la nuova aria che si respira.

 Grazie a Cipolla e alle sue battaglie, conosciamo meglio ancora la nostra storia, i caratteri della riforma agraria siciliana, e la sua particolare torsione verso gli interessi propri della mafia e dei grandi latifondisti. Nicola fu infatti membro della Commissione nazionale antimafia, appena istituita nei primi anni Sessanta e conosce bene quanto la mafia sia stata ostile allo sviluppo della nostra Regione. E’ una biografia, la sua, che coincide con la storia della nostra democrazia, con la nascita dei partiti e dei sindacati nella Sicilia amministrata dai colletti bianchi e con l’azione prima contro il feudo e dopo contro la militarizzazione della Sicilia. Lezione, questa, impartita da Pio La Torre, sia per l’assegnazione delle terre incolte ai contadini o per la ripartizione dei prodotti agricoli, sia anche per la pace e lo sviluppo dei popoli. Una lunga parabola che arriva ai nostri giorni e alla crisi irreversibile della stessa sinistra in epoche a noi più vicine.

Giuseppe Casarrubea

 Letture collegate:

http://casarrubea.wordpress.com/2010/04/15/gli-occhi-azzurri-del-compagno-eli/

http://casarrubea.wordpress.com/2010/04/07/memoria-comunista/


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