Il corridoio è un luogo che racchiude in sé tutti gli elementi di cui abbiamo più terrore. Provate a pensarci un attimo. Cos’è un corridoio? Un luogo, innanzitutto, solitamente buio. Che si trovi in casa piuttosto che in una cantina o in un solaio, oppure in una scuola o in un edificio pubblico, il corridoio è l’ambiente di solito meno illuminato. Nei corridoi, le luci sono sovente temporizzate: le accendi e dopo qualche istante, senza preavviso alcuno, esse si spengono, lasciandoti improvvisamente indifeso, in balia di chissà quali pericoli. L’incertezza, a sua volta, è perfettamente rappresentata dal corridoio, la paura anche inconscia per un percorso che si deve intraprendere, per una strada che si deve in qualche modo percorrere per poter ottenere il premio finale, che si trova invariabilmente all’estremo opposto. In psicologia, non sono un esperto ma non faccio fatica a sostenerlo, il corridoio rappresenta la paura della crescita, la paura di non essere in grado di portare a termine i propri compiti. Quali e quanti pericoli si nascondono nei corridoi? Pensate a tutte le porte che si aprono su di esso. Dietro ciascuna di quelle porte potrebbe esserci qualcosa, qualcuno pronto ad interrompere il nostro avanzare, degli ostacoli imprevisti che ci bloccano, che magari ci fanno del male.
Ciascuna apertura lungo il corridoio rappresenta un pericolo, diretto o indiretto. Non tutte le porte che si affacciano sul nostro percorso si apriranno. Non tutte sono lì per farci del male. Alcune rimarranno chiuse, ma l’incertezza rimarrà fino al superamento della porta successiva, di quella seguente ancora, e così via. Non serve guardarci indietro. È indifferente. Una volta intrapreso, il corridoio davanti a noi è tremendamente simile a quello che ci siamo lasciati indietro. E anche dietro quelle porte già superate, prima innocue, ora potrebbero nascondersi rinnovati pericoli.
Non serve dire che il corridoio è stato da sempre uno degli elementi perturbanti più diffusi nel cinema dell’orrore. Un corridoio crea suspense, e noi passo dopo passo ci identifichiamo in colui che si trova a doverlo attraversare. A lui, il protagonista del film, il più delle volte andrà male. Il corridoio gli sarà fatale. A noi seduti in poltrona non andrà meglio. Saremo ancor più saldamente avvolti da una delle nostre paure più ancestrali.
Repulsion (Roman Polanski, 1965)
Senza la presunzione di voler sembrare un esperto di cinema, provo a fare un rapido escursus storico sul corridoio utilizzato nel cosiddetto cinema di paura. Credo di non sbagliare se inizio la nostra carrellata facendo un salto all’indietro fino al 1948, anno in cui uscì un lungometraggio intitolato “Il mistero degli specchi” (Corridor of Mirrors) del regista britannico Terence Young, un film che gli appassionati di genere ricordano soprattutto per aver segnato l’esordio sul grande schermo di un giovanissimo Christopher Lee. Tratto da un romanzo di Chris Massie, “Il mistero degli specchi” narra le vicende di un eccentrico collezionista d'arte che si convince che la donna da lui amata sia la reincarnazione di una donna raffigurata in un quadro rinascimentale comprato a Venezia. Una storia morbosa quanto raffinata, dalle forti tinte gialle, nella quale viene sapientemente affrontata la teoria della reincarnazione e dell’ineluttabilità del destino.Tre anni dopo, nel 1951, è il turno de “L’assassino viene di notte” (The Long Dark Hall) della coppia di cineasti inglesi Anthony Bushell e Reginald Beck. Siamo più dalle parti del noir, piuttosto che dell’horror, ma ancora una volta siamo di fronte ad una pellicola affascinante, soprattutto per alcuni inquietanti retroscena che sovrapposero la finzione cinematografica alla vita reale dei suoi interpeti. Il film narra la vicenda di Arthur Gromme (interpretato da Rex Harrison) che viene ingiustamente accusato dell’omicidio dalla propria amante Mary (interpretata da Lilli Palmer, al tempo moglie dello stesso Harrison). Il film si snoda sulle vicende giudiziarie dell’uomo mentre, nell’ombra, il vero omicida si prepara a colpire di nuovo. Il particolare bizzarro è che lo stesso Harrison, tre anni prima, fu accusato della morte della propria amante, Carole Landis, suicidatasi per amore dopo l’ennesimo rifiuto da parte di Harrison di lasciare la moglie. Sembra oggi difficile pensare che Harrison e la Palmer possano, dopo così poco tempo, essere riusciti ad interpretare una storia di tradimento così simile a quella da loro stessi vissuta.
Nonostante il titolo originale lasci presagire la presenza di un corridoio, il film “Prima dell’anestesia” (Corridors of Blood, 1958) ha poco a che fare con gli altri titoli citati in questo articolo. Il corridoio del titolo altro non è che un modo per sottolineare l’ambientazione ospedaliera, dove troviamo un fenomenale Boris Karloff che, nei panni di un chirurgo impegnato nella ricerca di un nuovo anestetico, si troverà a dover testare i nuovi composti chimici direttamente su se stesso con risultati che possiamo facilmente immaginare. Saranno molto più credibili, da questo punto di vista, i corridoi dell’ospedale della cittadina di Haddonfield dove la giovane Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) cercherà di sfuggire alla lama affilata di uno scatenato Michael Myers nel secondo capitolo della saga carpenteriana “Halloween” (1978-2009).
Halloween II, il signore della morte (Rick Rosenthal, 1981)
Nel decennio successivo sono due i titoli importanti che vale la pena ricordare: “Il corridoio della paura” (Shock Corridor, 1963) di Samuel Fuller e “Repulsione” (Repulsion, 1965) di Roman Polanski, entrambi facenti parte di quel particolare filone conosciuto come “cinema della follia”. Il primo racconta la storia di un giornalista che decide di farsi ricoverare in incognito in un ospedale psichiatrico per risolvere un caso di omicidio, avvenuto all'interno di quella stessa struttura, nella speranza di vincere il premio Pulitzer. Il secondo è la storia allucinata di una giovane donna timida e impacciata (Catherine Deneuve) il cui equilibrio mentale si troverà scardinato dalla sgradita convivenza con la sorella e il di lei amante. Un equilibrio che si spezzerà definitivamente quando i due coinquilini, un giorno, la lasceranno completamente sola tra le mura di una casa divenuta improvvisamente minacciosa. Assolutamente memorabile la scena del corridoio con le mani che sbucano dalle pareti per afferrarla.Rimanendo in “zona Polanski”, occorre naturalmente citare anche la scena clou del suo capolavoro “Rosemary’s Baby” (1968). La storia la ricordate tutti, no? Due giovani sposi traslocano in un nuovo appartamento (un classico!) e ben presto la loro vita viene turbata dalla presenza asfissiante del vicinato, uno stuolo di persone prevalentemente anziane. Quando la moglie (Mia Farrow) scopre di essere incinta gli eventi precipitano e lei, sentendosi vittima di una congiura ai danni del suo bambino non ancora nato, farà il possibile per scoprire la verità circa lo strano comportamento di quelle persone apparentemente premurose. Quando infine giungerà a scoprire la verità, lo farà dopo aver attraversato una serie di corridoi tra i più inquietanti. Una scena, quella di Rosemary’s Baby, per certi versi molto simile a quella riutilizzata dieci anni dopo dal nostro Dario Argento in “Suspiria” (1977), in cui l’attrice Jessica Harper giungerà alla resa dei conti con la sua nemesi dopo aver attraversato un lungo e oscuro corridoio.
Rimanendo a “Suspiria”, come non far caso al fatto che i corridoi, per tutta la durata del film, sono sempre presenti e rappresentano senza dubbio l’aspetto più perturbante del primo capitolo della trilogia argentiana delle “tre madri”? Come dimenticare le inquietanti notti trascorse nell’Accademia di danza di Friburgo, quelle notti tormentate dall’ansimante respiro della malvagia Mater Suspiriorum, la Madre dei Sospiri, la più anziana delle Tre Madri? A contribuire all’atmosfera di mistero propria di quei corridoi l’imponente fotografia di Luciano Tovoli che, alternando forti cromatismi rossi (il colore predominante), blu e verdi, riuscì a creare quell’insostenibile senso di angoscia che oggi, quasi quarant’anni dopo, ancora non riusciamo a dimenticare.
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Suspiria (Dario Argento, 1977)