L'aria estiva entrava dal finestrino della macchina diretta e veloce, portando dentro il veicolo il fresco odore di terra bagnata dall'umido e dagli innaffiatoi automatici, un profumo unico e inconfondibile. Profumo di mattino.
Con la macchina, appesantita dal pieno di benzina e da un portabagagli riempito all'inverosimile, lascio alle mie spalle le prime campagne del paese ad un orario quasi insolito per i miei standard estivi; il sole ha da poco baciato le creste dei monti e ancora non è caldo, si manifesta come un'arancione palla infuocata in cielo che accarezza la pelle e la riscalda il tanto giusto contrapponendosi alla fresca aria pungente. Son stanco ma pronto ad affrontare un lungo viaggio verso destinazioni vacanziere.
La mattina ci vuole musica rilassante che non rovini né le orecchie né, tanto meno, la meravigliosa calma e tranquillità venutesi a creare grazie al prolungato sonno festivo dei lavoratori che ogni mattina invadono la strada. Quasi non mi dispiace esser stato strappato al mio sonno dalla sveglia; metto su Il Maestro Battiato. [colonna sonora per il resto del post].
Strade di campagne, ergo curve, da affrontare con la massima tranquillità e la pace più totale, quando ecco che arrivato allo stop si palesa ai miei occhi un campo verde - insolita visione nel periodo di agosto per noi sardi - sterminato; al centro di esso un gregge di pecore pascola non curante del mondo circostante, e a poche centinaia di metri, seduto sul prato con le braccia dietro la schiena, sta il pastore che le osserva. Le guarda probabilmente con orgoglio e ammirazione, ma qualcosa distoglie il suo fiero e allegro sguardo.
Davanti a lui, davanti a quella scena meravigliosa, ecco che si stagliano alte e oscure colonne di fumo, ciminiere bianche e rosse che gettano sul paese dicloroetano, cloro-soda e chissà quali altri immonde schifezze. E lui, il pastore, sta lì, fermo, inerme e impotente a guardare quella fiamma che brucia, quel fumo che sale e va a creare nuvoloni grigi, quel groviglio infinito di tubi che si arrampicano nel terreno. Probabilmente pensa a quando prima quel campo era incolto e, ancora bambino, conduceva il gregge con il padre; pensa alla vigliaccheria dei padroni che avvelenano l'aria e il territorio mentre stanno a festeggiare e banchettare a migliaia di chilometri di distanza; pensa a quanto ancora vorranno espropriare per creare altre fabbriche di morte e malattie (provate a chiedere quante persone hanno problemi di ipertiroidismo nel posto in cui vivo); pensa alla sua vita e al fatto che ormai fa parte dell'ultima vera grande generazione di pastori e uomini di campagna, quella vera, fatta di sofferenza e amicizie sparse per il territorio.
O forse, semplicemente, non pensa a niente e guarda lontano, fin dove gli occhi possono arrivare, lanciando sempre una vigile e fiera occhiata al suo brucante gregge.