Poveracci che sparano ad altri poveracci, hermanos che si parano di fronte ad altri hermanos. Il luogo è la frontiera di Peñas Blancas, confine tra Costa Rica e Nicaragua, una linea che negli ultimi anni ha fatto nascere disagi e insofferenze, a dire la verità più tra i governi che tra gli uomini. I protagonisti sono centinaia di cubani, senza un pezzo di documento legale che li possa far passare da un Paese all’altro, fermi da giorni nella terra di mezzo. All’inizio sono qualche decina, poi con il passare dei giorni diventano centinaia e dopo una settimana sono più di duemila. Come è potuto accadere?
L’antefatto. All’inizio di novembre le autorità costaricane sgominano una banda criminale che da Panama al Nicaragua trasporta illegalmente uomini, donne e bambini, cubani per lo più, ma anche africani (somali, soprattutto) e asiatici (nepalesi, indiani e pachistani) la cui meta finale sono gli Stati Uniti. Tra mobilitazione in auto, hotel nella capitale e i coyote che li guidano tra i punti morti del confine, la tariffa gira intorno ai 400 dollari per persona. L’operazione è un successo, ottiene poco spazio sui giornali e, con i responsabili in attesa di processo, viene presto passata nel dimenticatoio. I cubani, inviati dai trafficanti del Venezuela, della Colombia e dell’Ecuador continuano però ad arrivare e non trovano più chi possa fare loro da guida tra le strade centroamericane. Si ammassano alla frontiera sud costaricana, quella con Panama e chiedono di entrare. Altri si arrangiano invece come possono e passano lo stesso. Le autorità costaricane, non sapendo che pesci pigliare, concedono un visto temporale di una settimana ai cubani, che una volta in Costa Rica si riversano verso la frontiera con il Nicaragua per proseguire il loro esodo per gli Stati Uniti. Ma una volta a Peñas Blancas si fermano, perché da Managua fanno sapere con le buone e con le cattive che il Nicaragua non permetterà il loro passaggio. Quando sfondano, perché sfondano, trovano l’esercito ad aspettarli con gas lacrimogeni e sfollagenti. Devono tornare indietro ed ora sono lì, nella terra di nessuno, appunto, che dormono all’addiaccio sotto un cielo poco amico, che di questa stagione spesso e volentieri libera violenti acquazzoni tropicali. I governi di Nicaragua e Costa Rica, da anni impelagati in beghe da cortile, sembrano lontani anni luce dal trovare una soluzione. Mentre passano i giorni, si accusano mutuamente, mentre qualcuno timidamente consiglia di non perdere altro tempo e di creare un corridoio umanitario.
I cubani vogliono arrivare negli Usa –dove sarebbero comunque entrati illegalmente- spinti dal nuovo animo che regola le relazioni tra i due Stati. Una legge targata 1966 recita infatti che al toccare suolo statunitense potranno chiedere asilo e quindi la residenza. Il problema è come arrivare negli Usa. In migliaia –probabilmente circa ventimila- hanno tentato questa avventura nel 2015, investendo tutti i risparmi per entrare in Venezuela, Ecuador e Colombia come turisti e quindi affidandosi alle cure, non proprio benevole, dei trafficanti. La linea retta che li divide dal sogno americano misura più di cinquemila chilometri, una distanza da tregenda che implica attraversare una decina di paesi, tra climi estremi, esporre la propria vita e perdere probabilmente tutti i capitali. Una scommessa che, al momento, si è ancorata a metà cammino.