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I curdi siriani e quell’autonomia che può arrivare attraverso Mosca

Creato il 14 ottobre 2015 da Alessandroronga @alexronga

Guerriglieri curdi a Kobane (fonte: VOA)La Russia avrebbe offerto la sua collaborazione militare ai curdi siriani per combattere i gruppi terroristi legati all’ISIS: lo ha rivelato Ilham Ehmed, tra i principali esponenti del PYD, il Partito d’Unione Democratica curdo, poche ore prima del terribile attentato di Ankara contro i militanti curdi del HDP. Da Washington, dove si trova per chiedere agli Usa un maggior sostegno alla resistenza del suo popolo contro lo Stato Islamico, la rappresentante del Kurdistan siriano ha rivelato al portale indipendente Al-Monitor che Mosca avrebbe espresso la volontà di collaborare alla lotta contro le milizie del Califfato e degli altri gruppi jihadisti, che i curdi siriani portano avanti ormai da quasi due anni. L’annuncio della Ehmad non è casuale, come non meno casuale è il fatto che abbia rilasciato quell’intervista dagli Stati Uniti. Washington è stata alleata del PYD nella liberazione della cittadina di Kobane dall’assedio dell’ISIS ma, in cambio dell’utilizzo della base aerea turca di Incirlik, ha anche promesso ad Ankara che non avrebbe consentito ai curdi siriani di conquistare nuovi territori. Ma adesso che in Siria ci sono i militari russi, la possibile cooperazione con Mosca ha messo nelle mani dei curdi una nuova carta da giocarsi con Obama.

Quando nell’intervista la Ehmed dichiara che i bombardamenti russi «sono un passo in avanti nella lotta al terrorismo ma anche un’azione per rafforzare Assad, e ciò non va bene» si pone in una posizione attendista nei confronti della Casa Bianca, come se si aspettasse un cambio di passo da parte degli USA a favore della causa curda, dinanzi al rischio di una crescente influenza politica russa.

Dalle parole della Ehmad traspare chiaro che il PYD non vuol certo rompere i preziosi legami con gli Usa, ma spera d’altro canto che una fattiva collaborazione con le forze russe contro l’ISIS possa portare ai curdi siriani un consistente ritorno in termini politici. «Noi vogliamo amministrarci autonomamente, non cerchiamo l’indipendenza da Damasco», ha spiegato la Ehmed, che guarda all’esempio del Governo Regionale Curdo istituito nell’Iraq del dopo-Saddam: «Anche noi vogliamo restare parte della Siria, ma con la nostra cultura e la nostra lingua, sul modello della Svizzera con i suoi cantoni».

L’esponente curdo-siriana pare esser ben conscia del fatto che la conquista di tale nuovo status politico potrebbe realizzarsi molto più facilmente tramite i buoni uffici del Cremlino che quelli della Casa Bianca, alleata di una Turchia che, temendo un effetto-domino all’interno dei propri confini, non vede affatto di buon occhio il rafforzamento delle autonomie curde anche in Siria. Per Ankara il PYD altro non è che una derivazione del PKK, e come tale va combattuto: un contrasto in nome del quale, per Ehmed, la Turchia in Siria ha svolto un ruolo sporco, aprendo le porte al terrorismo «che di certo non è piovuto dal cielo».


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