Come è nata la parola “robot”? La storia forse la conoscete già.
Tutto il merito va allo scrittore, giornalista e drammaturgo boemo Karel Čapek, nato nel 1890, in quello che allora era ancora un territorio facente parte dell’Impero Austro-Ungarico. A dimostrazione che non era un periodo così oscuro e retrogrado come qualcuno pensa, Karel riuscì a spostarsi dal piccolo borgo natale, trasferendosi a Praga per studiare filosofia. Un lusso che oramai molti giovani di oggi paiono aver perso, quello di laurearsi, specialmente se di umili origini.
Ma non divaghiamo. Forte della sua laurea, Čapek diventa giornalista e scrittore, salvo poi votarsi alla carriera di drammaturgo, subito dopo la fine fine della Grande Guerra. La sua opera più importante è quella che ci interessa citare oggi. Scritta nel 1920, R.U.R. (Rossumovi univerzální roboti), è in un tutto e per tutto un dramma fantascientifico, visionario e all’avanguardia per quell’epoca. Probabilmente il buon Karel non avrebbe mai immaginato di dar vita a un filone narrativo che vive ancora oggi dell’interesse di milioni di spettatori e di lettori.
Sì, perché R.U.R., senza girarci troppo intorno, parla di robot. Anzi, per essere più precisi parla di cyborg. Nel 1920? Eh sì: nel 1920.
In questo dramma si parla di una fabbrica, situata su un’isola non meglio identificata, nel cuore dell’oceano. Questa fabbrica, di proprietà del signor Domin e gestita dal professor Rossum, produce esseri umani sintetici. Non si tratta di organismi meccanici, bensì di assemblati organici, costruiti sulla falsariga dei golem (creatura simbolo del background culturare di Karel Čapek), ricavati da una sorta di primitiva ingegneria genetica.
Nell’opera si parla di macchinari per “impastare” la carne e di serbatoi per la lavorazione di una sorta di protoplasma biochimico. Fa sorridere pensare che oggi definiremmo tutto ciò come biopunk, o steampunk.
Le creature costruite in tale fabbrica vengono chiamati robot, ma è evidente che tale termine ci sembra improprio, visto che oggigiorno identifichiamo i robot come creature completamente meccaniche. I costrutti di Rossum assomigliano di più ad androidi, cloni o al limite ai cyborg.
Sono singolari anche alcuni cliché (probabilmente nati anche grazie a R.U.R.) che Čapek ha introdotto nella sua storia. Il professor Rossum e il suo mecenate, il visionario Domin, intendono utilizzare i robot per liberare l’umanità dalla schiavitù del lavoro e della fatica. Dopo esserci riusciti, il mondo piomba tuttavia nel vizio dovuto all’indolenza e alla noia. Perfino il tasso di natività decresce presto sotto i livelli di guardia.
Come se non bastasse i robot prendono coscienza delle loro potenzialità e si ribellano ai creatori, iniziando sistematicamente a ucciderli, per prenderne il posto. La moglie del potente Domin distruggere i progetti di fabbricazione degli androidi, ma oramai è troppo tardi: essi hanno scoperto il segreto della procreazione naturale, unico vero handicap che li faceva risultare inferiori rispetto ai loro creatori.
Tuttavia sarà proprio la scoperta dell’amore, o di qualcosa di molto simile a esso, a salvare il mondo dallo sterminio per mano dei robot.
Come vedere R.U.R. è pieno di tutti i cliché (intesi sia in senso negativo che positivo) che riscontriamo ancora oggi nel filone letterario/cinematografico riguardante robot e androidi.
Il loro utilizzo per migliorare il tenore di vita umano (fallendo, o riuscendo solo in parte);
La ricerca di una loro libertà personale, nonché di un’anima.
La ribellione contro i loro creatori.
La scoperta dell’amore da parte dell’uomo artificiale, che così diventa a sua volta “uomo normale”.
Sono fattori che richiamano a tutto il ciclo narrativo di Asimov, tanto per fare un nome noto a tutti. Oppure, come non pensare alle tematiche di Blade Runner e del capolavoro Metropolis (nato soltanto sette anni dopo R.U.R.)? Ma anche un film apparentemente più disimpegnato, come WALL•E deve molto al dramma teatrale dell’autore boemo.
Tra l’altro il nostro Karel Čapek si distinse negli anni a venire grazie ad altre opere di fantascienza impegnata. Vale la pena ricordare almeno La Guerra delle Salamandre (1936), recentemente ristampato in Italia dai tipi di UTER edizioni. Romanzo in cui tra l’altro si intravedono ancora i temi già trattati in R.U.R., nonché una lugubre e azzeccata anticipazione della dittatura nazista sull’Europa.
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