Guardare gli Europei sulla Rai è un'esperienza quasi mistica; bisogna essere di bocca buona e manica piuttosto larga. Uno segue una telecronaca di Gianni Bezzi, ascolta un commento di Collovati o assiste agli ansiosi interventi di Paola Ferrari e si chiede: "Possibile che non ci sia di meglio?" Sì, è ovvio, di meglio esiste e porta il nome di Sky, Mediaset e, un poco più lontano, di Sportitalia. Ma, per rimanere in casa Rai, che a differenza delle sopraccitate è servizio pubblico, basterebbe spostarsi per una manciata di minuti dallo schermo alla radio per avere delle risposte esaustive in tal senso. Ora, perché da tempo le spedizioni giornalistiche di viale Mazzini risultino eccellenti a livello radiofonico e pessime in tv, rimane un mistero di faticosa soluzione. Si dirà che la radio è di un'altra scuola e ben altra pasta e che non ha subìto l'imputtanamento contenutistico e morale della sorella. Ma non basta. Raisport è una bolla sospesa nello spazio-tempo; uno strano e curioso microcosmo fermo al paleozoico televisivo in cui, gattopardescamente, tutto deve cambiare perché tutto resti uguale. La spedizione al seguito del campionato europeo di calcio, divisa tra Italia e Polonia, è al solito molto generosa. E il panorama ampio e variegato: si va dal populismo di Bruno Gentili al popolano di Gianni Bezzi (memorabile il suo "Che palo, rega!" in Portogallo-Olanda, citato da Luca Bottura); si passa dalle sagge ovvietà dei vari Collovati, Dossena, Righetti all'ovvia saggezza di D'Amico, snocciolata con quel vago tono da "ma vattela a pia n'nderculo". C'è la teutonica abnegazione di Stefano Bizzotto e c'è la più becera italianità di Marco Mazzocchi (che, per inciso, della spedizione in terra polacca-ucraina è team leader, ndr.). Ci sono i kierkegaardiani Bartoletti e Zazzaroni, i peripatetici Volpi e Galeazzi e la filosofia spicciola dei Failla e Paris di turno. E si è poi da qualche tempo affermata ai piani alti di Saxa Rubra la convinzione che nei programmi di approfondimento sportivo sia imprescindibile la presenza nel dibattito di un elemento di distrazione, spesso comica. Il "gene Gnocchi", insomma: un contrappeso inserito a forza nel programma con l'idea che, non facendolo, si risulti noiosi e superati, ma con il risultato opposto di abbassare ulteriormente la qualità e la digeribilità del prodotto. All'insegna dell'infotainment si è distrutto tutto: conduttori ingessati, opinionisti che difettano in ironia e comici ormai parodia di se stessi, ciascuno dei quali pensa che l' "utile idiota" sia l'altro. Aldo Grasso ha parlato di "antichità e autodistruttività" della Rai in materia di Europei, aggiungendo che perfino una tv locale come Telenorba saprebbe fare di meglio. Non si fatica a credergli. Ma a me Raisport ricorda più una di quelle compagnie dialettali a forte radicamento locale; una cosa alla Legnanesi o ai Dialettanti di Vetralla, per intendersi. Pensateci, gli ingredienti ci sono tutti: c'è il capofamiglia, spesso en travesti, che tesse le fila della storia, difendendo la sua casa dagli attacchi esterni; c'è la finta bella non più giovane adornata con vestiti appariscenti; c'è l'occhialuto e rubicondo parente, dalla forchetta facile e dalla battuta sempre pronta; c'è una corte popolata da persone bizzarre che, più o meno a loro agio, interpretano un ruolo, fino alla passerella finale in cui tutti applaudono: un po' perché il cervello è sufficientemente macerato, un po' perché l'ora si è fatta tarda, un po' perché, dai, pare brutto, si sono impegnati. Ecco, Raisport è tutto questo. Certo, non mancano gli elementi positivi: i vari Bizzotto, Cerqueti, Antinelli (a tratti), Lollobrigida e Rimedio emergono di una spanna buona dal livello medio offerto. Ma, a proposito degli ultimi due, andrebbe osservato che hanno rispettivamente 41 e 40 anni e vengono spacciati da viale Mazzini come il "nuovo che avanza"; ci sono almeno dieci anni di troppo. Una postilla, infine, sulla scenografia degli studi Rai: graziosa, ben curata, un po' troppo rigida forse. Ah, no, scusate, quella è Simona Rolandi...
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Guardare gli Europei sulla Rai è un'esperienza quasi mistica; bisogna essere di bocca buona e manica piuttosto larga. Uno segue una telecronaca di Gianni Bezzi, ascolta un commento di Collovati o assiste agli ansiosi interventi di Paola Ferrari e si chiede: "Possibile che non ci sia di meglio?" Sì, è ovvio, di meglio esiste e porta il nome di Sky, Mediaset e, un poco più lontano, di Sportitalia. Ma, per rimanere in casa Rai, che a differenza delle sopraccitate è servizio pubblico, basterebbe spostarsi per una manciata di minuti dallo schermo alla radio per avere delle risposte esaustive in tal senso. Ora, perché da tempo le spedizioni giornalistiche di viale Mazzini risultino eccellenti a livello radiofonico e pessime in tv, rimane un mistero di faticosa soluzione. Si dirà che la radio è di un'altra scuola e ben altra pasta e che non ha subìto l'imputtanamento contenutistico e morale della sorella. Ma non basta. Raisport è una bolla sospesa nello spazio-tempo; uno strano e curioso microcosmo fermo al paleozoico televisivo in cui, gattopardescamente, tutto deve cambiare perché tutto resti uguale. La spedizione al seguito del campionato europeo di calcio, divisa tra Italia e Polonia, è al solito molto generosa. E il panorama ampio e variegato: si va dal populismo di Bruno Gentili al popolano di Gianni Bezzi (memorabile il suo "Che palo, rega!" in Portogallo-Olanda, citato da Luca Bottura); si passa dalle sagge ovvietà dei vari Collovati, Dossena, Righetti all'ovvia saggezza di D'Amico, snocciolata con quel vago tono da "ma vattela a pia n'nderculo". C'è la teutonica abnegazione di Stefano Bizzotto e c'è la più becera italianità di Marco Mazzocchi (che, per inciso, della spedizione in terra polacca-ucraina è team leader, ndr.). Ci sono i kierkegaardiani Bartoletti e Zazzaroni, i peripatetici Volpi e Galeazzi e la filosofia spicciola dei Failla e Paris di turno. E si è poi da qualche tempo affermata ai piani alti di Saxa Rubra la convinzione che nei programmi di approfondimento sportivo sia imprescindibile la presenza nel dibattito di un elemento di distrazione, spesso comica. Il "gene Gnocchi", insomma: un contrappeso inserito a forza nel programma con l'idea che, non facendolo, si risulti noiosi e superati, ma con il risultato opposto di abbassare ulteriormente la qualità e la digeribilità del prodotto. All'insegna dell'infotainment si è distrutto tutto: conduttori ingessati, opinionisti che difettano in ironia e comici ormai parodia di se stessi, ciascuno dei quali pensa che l' "utile idiota" sia l'altro. Aldo Grasso ha parlato di "antichità e autodistruttività" della Rai in materia di Europei, aggiungendo che perfino una tv locale come Telenorba saprebbe fare di meglio. Non si fatica a credergli. Ma a me Raisport ricorda più una di quelle compagnie dialettali a forte radicamento locale; una cosa alla Legnanesi o ai Dialettanti di Vetralla, per intendersi. Pensateci, gli ingredienti ci sono tutti: c'è il capofamiglia, spesso en travesti, che tesse le fila della storia, difendendo la sua casa dagli attacchi esterni; c'è la finta bella non più giovane adornata con vestiti appariscenti; c'è l'occhialuto e rubicondo parente, dalla forchetta facile e dalla battuta sempre pronta; c'è una corte popolata da persone bizzarre che, più o meno a loro agio, interpretano un ruolo, fino alla passerella finale in cui tutti applaudono: un po' perché il cervello è sufficientemente macerato, un po' perché l'ora si è fatta tarda, un po' perché, dai, pare brutto, si sono impegnati. Ecco, Raisport è tutto questo. Certo, non mancano gli elementi positivi: i vari Bizzotto, Cerqueti, Antinelli (a tratti), Lollobrigida e Rimedio emergono di una spanna buona dal livello medio offerto. Ma, a proposito degli ultimi due, andrebbe osservato che hanno rispettivamente 41 e 40 anni e vengono spacciati da viale Mazzini come il "nuovo che avanza"; ci sono almeno dieci anni di troppo. Una postilla, infine, sulla scenografia degli studi Rai: graziosa, ben curata, un po' troppo rigida forse. Ah, no, scusate, quella è Simona Rolandi...
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