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Sulla 7, a Piazza Pulita di ieri Formigli esordisce con una stimolante premessa. L’antefatto riguarda la puntata precedente. Il giornalista aveva invitato il deputato leghista Buonanno. Che aveva pronunciato frasi incredibilmente sprezzanti verso il popolo rom che costituirebbe “la feccia dell’umanità”. La platea aveva altrettanto incredibilmente applaudito. Formigli invece si era seccamente dissociato da quell’applauso che segnalava la vicinanza all'’abisso. Ieri quindi il conduttore riferisce sulle proteste di alcuni telespettatori che gli avevano chiesto conto per quell’invito imprudente. E forse anche della generosa ospitalità verso la Lega tutta, a partire dal suo leader. Interessante la risposta del giornalista. Buonanno è invitato semplicemente perché è votato ed ha consenso. Avendo consenso, è dovere della rete invitarlo, come quando si dà notizia di un fatto, anche criminale. Al di là del peggio cioè che possa pensarne il conduttore. Che infatti si vanta di avere invitato a suo tempo un leader del negazionismo dell’olocausto. E che ospiterebbe – afferma – anche il Califfo dell’IS, se costui accettasse l’invito. Insomma il giornalista può e deve invitare i protagonisti della cronaca, anche della più nera. Importante – capisco – è il contesto dissenziente in cui l’orrore spiega le sue ragioni. Importante è il dissenso del conduttore. Mi è venuto da pensare: “E perché non invitare un pedofilo, anzi un teorico della legittimità della pedofilia”? Esprimendo più o meno sdegnato dissenso ovviamente. Ho preso sul serio Formigli e le sue ragioni. Mi sono detto ad esempio che la pedofilia o il nazismo hanno comunque spesso dignità letteraria. Nessuno si sente di censurare i saggi filosofici del filonazista Heidegger infatti. Alla fine del mio rimuginare concludo sulla legittimità di una pedagogia e di un’etica civile. Che possono e debbono dire no. Certamente In TV. Forse dovremmo concludere che la TV, non solo quella cosiddetta pubblica, ha doveri diversi rispetto all’editore che si rivolga ad una nicchia di pubblico. Ma la mia convinzione è che noi abbiamo una concezione banale e ottimistica della libertà di espressione. Crediamo al pluralismo, nel presupposto che esso sia un antidoto al fanatismo. Un po’ lo è, ma solo un po’. Alla nostra concezione di pluralismo è indifferente il perimetro culturale entro cui gli editori si muovano. Quali punti di vista vengano di fatto ribaditi, con sfumature minime, dalle reti pubbliche e private. Così c’è pluralismo se Paragone alla Gabbia ospita gli avversari dell’euro e Rai3 gli avversari della Merkel. Ma quale rete ospita opinioni di chi propone la lotta al Capitale o un nuovo internazionalismo? Egualmente nessuno ospita tesi pedofile. Conclusione: usciamo dall’ipocrisia. Ammettiamo di volerci muovere entro confini ideali dati. E usiamo “libertà di espressione” solo fra virgolette.