Nell’articolo che ormai è divenuto leggenda, tale David Pedrani, autore per Ciesse Edizioni, scrive quanto segue:
Io non mi sento “spazzatura d’autore”. Scrivo poesie e per quanto belle o brutte possano essere vengono da dentro e quindi il termine “spazzatura” mi sembra eccessivo, soprattutto se il commento non deriva certo da un Leopardi o da un autore noto e competente.
A parte che nessuno ha mai accennato a lui e a quanto scrive, dunque non si comprende il motivo della difesa del proprio lavoro, lascia basiti – e incazzati – il concetto di “se non sei un autore competente o affermato non puoi giudicare”. Ovvero: tu, lettore, non puoi dire che il mio libro non ti piace. Non ne hai le competenze, non sei nessuno per poter dire che il libro che hai letto non ti piace. In altri termini: la tua opinione vale meno di una cicca spiaccicata sotto una scarpa.
Questo malcelato disprezzo per il lettore non è cosa nuova, in Italia: molti utenti del forum riferiscono che, durante i contatti con gli emergenti italiani, hanno notato un fastidio profondo nell’ascoltare critiche. Taksya osserva questo:
Da noi capita spesso l’opposto… con l’aggravante che, quando ti ritrovi a parlare con alcuni degli autori, ti rendi conto che l’accettazione di critiche è tollerata come un fastidio dovuto, non come un segnale che potrebbe esserci qualcosa che non funziona.
Non ti piace, peccato… però ho avuto moltissime critiche positive qui e anche qui.
Il lettore, secondo gli autori, non può criticare niente e nessuno se non ha il pedigree: deve essere un lettore forte, onnivoro, che ha alle spalle almeno quindici anni di letture di ogni genere – sono preferiti i classici e le poesie – per una media di ottocento libri l’anno. Se il lettore ha una laurea o due in materie umanistiche meglio ancora. Se poi è un professore siamo a cavallo. In caso contrario il lettore deve tacere. La versione letteraria del vecchio adagio maschilista “donna schiava, zitta e lava”.
Le cose non stanno così. Il lettore ha pieno diritto di criticare e giudicare ciò che legge: non solo perché l’opinione di tutti è degna di essere presa in considerazione e rispettata, ma perché è il lettore il destinatario del libro. E’ il lettore che apre il portafogli e compra il romanzo, il saggio, la raccolta di poesia: pagando, acquista una volta di più l’inalienabile diritto di dire quel che pensa del prodotto che ha tra le mani.
Così come il lettore ha il diritto di non leggere, di smettere di leggere un libro a metà, di gettarlo dalla finestra, di dargli fuoco; ma per quei diritti vi rimando a Daniel Pennac. Mi auguro che questa sia l’ultima volta che ascolto simili ridicole argomentazioni. So già che sarò delusa.