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Riflettevo sulla manifestazione della CGIL di sabato. Mi colpisce sempre come sia possibile affermare con tanta veemenza il valore di certi diritti quando si scende in piazza e comportarsi come se non esistessero per il resto del tempo. Non si tratta qui di ipocrisia ma di qualcosa di diverso, più vicino a una dissonanza cognitiva.
In tanti non si rendono conto che da quando sono entrate in vigore tutte le nuove leggi sul lavoro, con l’istituzione dei più assurdi tipi di contratto, non c’è stato nessuno che si sia tirato indietro dall’usarli o abusarne. E la differenza è assai sottile se si ritiene che i nuovi contratti regolino più che altro nuove forme di schiavitù. La stessa CGIL e istituti satelliti utilizzano i contratti di collaborazione occasionale con retribuzioni a “cottimo” e senza contributi previdenziali. Migliaia di cooperative rosse e bianche lo fanno. Cosi come migliaia di cooperative iscrivono i propri collaboratori alla gestione separata dell’Inps, una vera e propria truffa di stato. E ovviamente non è tutto qui. Il lavoro nero è diffusissimo in una regione come la Toscana, in tutti i settori, dalla ristorazione al turismo, dall’edilizia all’agricoltura. E più che altro in tutti gli ambienti, anche in quelli gravitanti attorno a tutto ciò che è stato il PC e adesso è PD.
Ma, come dicevo, quello che si scrive sugli striscioni non è indicativo di come poi ci si comporta nella realtà. Magari si è perfettamente al corrente di situazioni che vanno dallo sfruttamento della deregolazione del mercato del lavoro all’illegalità pura e semplice, ma quando se ne viene in contatto si preferisce non vedere. Oppure non ci si riesce proprio. Che è quello di cui parlavo all’inizio.
Ci si alza alle 5 di mattina con la bandiera rossa in mano per invadere la capitale ma poi si è pronti a giustificare paghe da fame o assenza di diritti affermando semplicemente che nessuno obbliga una persona a continuare a lavorare in un posto dove ritiene di essere sfruttato. Oppure la si butta in una bizzarra sfida a chi ha meno diritti, come se fossero cicatrici da mostrare in giro con orgoglio accanto al tatuaggio del “Che” in un gioco a chi è più “proletario”. A nessuno passa neanche per l’anticamera del cervello, non dico di denunciare il tutto, ma neanche di parlare con persone che spesso sono amici o “compagni” per provare a convincerli che forse un mondo un po’ più giusto si comincia a farlo trattando con rispetto le persone che lavorano con te o per te, prima di andare a pretendere leggi più giuste da chi non ha il minimo interesse a farle.
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