I dolori del giovane pettirosso: Robin e il ruolo del sidekick – Prima parte

Creato il 16 ottobre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

 Meraviglia, un ragazzo

A solo un anno dalla comparsa di Batman sulle pagine di “Detective Comics”, nell’aprile del 1940, Bob Kane e i i suoi collaboratori affiancano al paladino mascherato, un giovane aiutante: Robin (“pettirosso”). La storia è quella di un ragazzino di tredici anni, Dick Grayson, che assiste impotente all’uccisione dei propri genitori, trapezisti in un circo.

Il miliardario Bruce Wayne – che ha vissuto lo stesso trauma anni prima – decide di aiutare il giovane orfano, prima accogliendolo nella sua lussuosa magione e, quindi – dopo avergli rivelato la sua identità segreta – scegliendolo come suo assistente nella lotta al crimine.

Nei successivi 74 anni di vita editoriale dell’uomo Pipistrello, il costume di Robin sarà indossato, oltre che da Dick Grayson, da altri giovani co-protagonisti, con alterne fortune e altrettanti lutti, tanto da far sospettare che il ruolo e la maschera impongano una robusta dote di iattura.

Nei secoli fedele

Robin appartiene al variopinto universo dei “sidekick”, ovvero le “spalle d’azione”. Sta a Batman, come Lothar sta a Mandrake, Pippo a Topolino, Obelix ad Asterix, secondo una modellizzazione drammaturgica che il fumetto eredita dalla letteratura popolare e, ancor prima, dall’epica e dalla favola. Lo studioso Vladimir Propp, nei suoi studi sulle fiabe russe, evidenziava come “l’aiutante magico” assolvesse diverse funzioni strutturali del racconto:

“Gli aiutanti, in tutta la loro molteplicità, sono accomunati dalla stessa identità funzionale, ossia anche se hanno forme diverse compiono azioni simili.”

Non vi è, insomma, differenza tra il Robin di Batman, il Watson di Sherlock Holmes o il Groucho di Dylan Dog. Gli aiutanti sono funzionali al “fare” dell’eroe, che si tratti di fornirgli un indizio o lanciargli una pistola per sparare agli zombie. La loro presenza ricorrente nei diversi episodi infatti assolve anche una funzione identitaria: marca un particolare universo narrativo, lo connota, lo caratterizza.

Detto in altri termini, Robin fa parte di quel “ritorno dell’identico” – per utilizzare una espressione del semiologo Omar Calabrese – che alimenta il rapporto di consuetudine tra Batman e il pubblico affezionato.


Resto di stucco, è un bat-trucco

Ma se la figura dell’aiutante è così centrale in un certo tipo di racconti, perché l’eroe ci mette un anno (editoriale) per procurarsene uno? In realtà, nella cupa versione delle origini, figlia della narrativa pulp, Batman non necessita assistenti perché la funzione dell’aiutante è assolta per intero dal costume e dalle tecnologie cui il giustiziere solitario affida le sue imprese. Per quanto suoni cinico dirlo, a un livello narrativo profondo Robin vale quanto la bat-cintura. Ritorniamo qui a uno degli assunti della narratologia, quando sempre Vladimir Propp spiegava come in fondo un oggetto o un personaggio potessero svolgere la stessa funzione di aiuto all’eroe (la spada Excalibur di Re Artù, ad esempio, o lo spararagnatela di Spiderman).

L’aiutante esterno “salta fuori” solo nel momento in cui a livello espressivo e comunicativo, nasce la necessità di variare e complicare la fabula originaria con nuovi spunti. Robin rappresenta l’esigenza di allargare la base del pubblico, variando il tono cupo delle storie, dando ai giovani lettori un co-protagonista in cui riconoscersi.

Non a caso, nello stesso anno in cui compare Robin, il “Bat”mondo si arricchisce di altre figure ricorrenti, destinate a diventare “imprescindibili” nella serie, quali l’arcinemico Joker, il commissario Gordon ed il maggiordomo Alfred. Ogni nuova presenza rompe la solitudine monocorde del giustiziere e disegna nuove linee di relazione/narrazione. Ed è qui che il “ragazzo meraviglia” fa valere la sua connotazione rivoluzionaria rispetto ai sidekick che l’hanno preceduto nell’ambito del fumetto: la giovane età.

Sancho Grayson

È vero che, nelle strip di Dick Tracy, Chester Gould aveva già inserito qualche tempo prima il piccolo Junior, ma la figura era assolutamente secondaria. Con Robin, invece, per la prima volta nella storia del fumetto popolare, un teen-ager assume il ruolo di co-protagonista.

A partire da un costume sgargiante contrapposto ai toni oscuri di quello di Batman, il Pettirosso ricolora la cupa serialità di Batman di tinte primarie. Dick Grayson è il simulacro tangibile, dentro il racconto, del pubblico infantile, istintivo, sfrontato, impaziente, cui la pubblicazione è destinata. Si tratta di un’ altra funzione drammaturgica essenziale che Robin e i “bravi” sidekick assolvono: rappresentare un punto di vista originale, complementare o ambivalente a seconda dei casi, rispetto al protagonista.

Pensiamo a Sancho Panza, che Cervantes utilizza nel Don Chisciotte come sguardo realistico – e al tempo stesso ironico – sugli eventi alternativo al delirante stra-vedere dell’eroe. Sancho ci ricorda la differenza tra Mulini e Giganti, così come Robin – soprattutto nelle storie degli anni ‘50 – ricorda al lettore che esiste una Gotham solare, aldilà delle notturne paturnie del suo incappucciato paladino.

Kids club

Se fino ad allora, i ragazzini del fumetto erano stato confinati – in ambito comico – alle gag sfrontate e alle marachelle irriverenti, Robin proietta “l’estetica dello scavezzacollo” nel contesto inedito del comic book d’azione. Qualcosa di simile accade negli stessi anni con il Capitan Marvel della Fawcett Comics che mette al centro della fabula superomistica un altro teenager, il quindicenne Billy Batson. La figura di Robin anticipa quindi un trend che diverrà dominante, anzi un vero e proprio canone in poco tempo: la Torcia Umana e Toro, Capitan America e Bucky, Flash e Kid Flash, Freccia Verde e Speedy… Persino Superman (a partire dal 1945) avrà il suo alter ego giovanile (Superboy), in linea con la “young line” dominante.

Attorno alla relazione tra l’eroe adulto Batman e il suo aiutante adolescente, la serie costruisce temi e modalità espressive che diventano tipiche del genere superomistico, anche attraverso aspetti contradditori e ambigui che hanno generato vivaci discussioni e, a volte, veri e propri corto circuiti mediali.

Una Coppia, di fatto.

“Solo chi non conosca i fondamenti della psichiatria e della psicopatologia sessuale può ignorare la latente atmosfera omoerotica che pervade le avventure del maturo ‘Batman’ e del giovane amico ‘Robin’ ”.

Siamo nella metà degli anni cinquanta, quando nel celebre saggio La seduzione degli innocenti, lo psicologo Fredrick Wertham colloca l’ambigua convivenza tra il maturo Bruce e il teenager Dick tra i modelli comportamentali pericolosi, veicolati dai comics al pubblico giovanile. Nel tempo, il gossip ha continuato ad aleggiare intorno al dinamico duo, con una notevole fortuna mediatica e critica. Anche se oggi, la situazione si è rovesciata e spesso sono studiosi e movimenti LGBT a esaltare Batman e Robin come icone (presunte) omosessuali.

Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco: sia che la si guardi in termini “omofobici”, sia in chiave “libertaria”, si tratta di una lettura forzosa del racconto fumettistico. Non esiste una sola vignetta o un solo dialogo, in oltre settantacinque anni di prodotti editoriali dedicati a Batman, che esplicitino (o anche solo avvalorino in maniera chiara), la fatwa omofobica, anzi dovremmo dire pedofila vista l’età di Dick, lanciata da Wertham. Allora come spiegare la persistenza di questa sovrainterpretazione? Le risposte possono essere molteplici, a seconda dei saperi che decidiamo di mettere in gioco (sociologia, psicologia, etc.). Qui ci limitiamo ad alcune considerazioni sulla struttura drammaturgica dei racconti e sul contesto editoriale.

Ne parleremo meglio nella seconda parte di questo articolo, approfondendo levoluzione del Ragazzo meraviglia, le sue diverse incarnazioni, tra eclatanti abbandoni e sorprendenti riprese.

La bibliografia dell’articolo si trova alla fine della 2° parte


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