Chi segue giornalmente il calcio lo avevano già capito da un po' che qualcosa in Zatlan Ibrahimovic era cambiato, che c'era qualcosa che non andava bene.
Lo si vedeva dal suo rendimento in campo, che pur continuando ad essere di alto livello tecnico non appariva così straordinariamente importante e decisivo come lo era quando, sempre a Milano, giocava con la maglia dell'Inter.
Già i numeri dicono chiaramente il come la partecipazione del popolare Ibra alla conquista dell'ultimo scudetto del Milan sia stata inferiore a quelle con le quali aveva propiziato invece le fortune della squadra rivale:
Solo 14 gol in 28 partite, è stato lo score di Ibrahimovic nello scorso campionato. Uno score che sarebbe lusinghiero per qualunque altro attaccante, ma che di fronte a quelli realizzati negli anni giocati da interista (15-27; 17-26 e addirittura 25-35 nell'ultima stagione neroazzurra) stanno li a dimostrare che l'appannamento nel rendimento del giocatore c'è stato, anche se è rimasto di altissimo livello.
Oggi è Zatlan che da una chiave di lettura della sua situazione attuale, attraverso l'intervista rilasciata alla giornalista svedese Jennifer Wegerup.
Le parole di Ibra sono ora sezionate ed interpretate da tutti gli addetti ai lavori e sono in tanti a volerle leggere come di un nuovo "mal di pancia" del giocatore, desideroso di abbandonare anche il Milan per cercare un nuovo e più ricco contratto altrove, come già fatto in passato dal giocatore, con l'attenta regia del suo agente, l'ex gestore di pizzeria in quel di Amsterdam Mino Raiola, oggi uno dei più conosciuti filibustieri del calcio mercato.
A me pare però che stavolta il centravanti svedese, figlio di immigrati bosniaci, sia stato estremamente sincero nel rivelare i suoi pensieri e nel confessare di come anche per lui lo scorrere del tempo non passa seza lasciare il segno.
Ibra ha compiuto il 30esimo anno di età, entrando pertanto nella fase finale della carriera di un calciatore, che a questo punto può essere più o meno lunga a seconda dell'impegno e della volontà dello stesso di impegnarsi negli allenamenti e nel seguire un regime di vita sano ed equilibrato, in modo da riequilibrare quella che è la naturale perdita di prestazioni del suo fisico.
Quello che sembra temere il giocatore è proprio il sentire meno in lui la voglia di impegnarsi nel lavoro giornaliero, di sentire il peso di una occupazione diventata sempre più routine e sempre meno divertimento. Una attività noiosa, ma che è necessaria preparazione alla partita della settimana, perché mancando quel lavoro sarà impossibile ripetere i gesti atletici e tecnici che hanno reso il giocatore famoso in tutto il mondo.
Difficile dire adesso quale sarà il futuro di Ibra. Magari il giocatore supererà questo momento di malinconia e ritroverà le motivazioni per continuare ancora per anni a giocare ad alti livelli, oppure potrebbe decidere di lasciare l'attività, mantenendo nel pubblico l'immagine del giocatore vincente e non la triste figura di qualcuno che continua a trascinarsi nel campo come l'onbra di se stesso.
Non dimenticherò mai quando Michel Platini annunciò il suo ritiro dal calcio giocato: a 32 anni decise che non ne poteva più, tanto che aveva smesso di allenarsi a tirare le punizioni (una delle sue specialità). Salutò tutti e cominciò una nuova vita.