Crollano in Borsa le azioni di Rcs, che da inizio anno ha perso il 40%, ed ora quello che prima della cessione del ramo libri era il più importante player dell’editoria italiana a Piazza Affari vale meno del Gruppo Espresso e Cairo Communication.
Su Rcs possiamo dire di essere stati unici a scrivere ben prima delle dimissioni di Scott Jovane che il piano di sviluppo lo “toppavano” alla grande fondamentalmente per gli investimenti fatti che non hanno portato il reddito atteso a cominciare dallo scempio di YouReporter dopo l’acquisizione, con piano prevedeva nei tre anni, di raddoppiare i fatturati da digitale e una crescita di quasi due volte e mezzo del suo peso sui ricavi complessivi che non si è nemmeno lontanamente avverata.
Arrivano ora i risultati dei primi 9 mesi dell’anno a fornire ulteriori elementi fattuali sui dolori di RCS Mediagroup consentendo di analizzare ulteriormente la situazione.
Complessivamente emerge come i ricavi diffusionali siano comunque in calo ed anche le copie digitali abbiano subito una forte battuta d’arresto. Complessivamente i ricavi calano del 3.7% rispetto ai primi nove mesi del 2014 con le revenues da vendite al –3.2% e quelle da advertising che segnano un –4.1%. Pesantissima la situazione debitoria con un cash flow negativo per 500 milioni di euro, in peggioramento ulteriore rispetto ai 483 di fine 2014.
In particolare riferimento alla parte italiana di RCS Mediagroup migliora la situazione per quanto attiene ai ricavi diffusionali con l’ultimo trimestre in calo del 2.7% ma il progressivo dell’anno al +2.3%. Lo spaccato dei ricavi pubblicitari, con l’online/digitale che pesa circa il 23% del totale, mostra come ad oggi stia mancando anche l’apporto di nuovi ricavi che Numix avrebbe dovuto portare.
Sul tema, Alceo Rapagna, dal febbraio 2015 Direttore Marketing & New Business del Gruppo RCS e Direttore Generale, appunto, di Numix Agency, intervistato nel mio libro, dichiara: “Partiamo dall’ovvia necessità di identificare un modello di business digitale che sia sostenibile, sia lato advertising — alla luce della “commoditizzazione” dell’advertising tradizionale e del repentino passaggio ad un consumo da smartphone – sia lato contenuti, specie per mercati come il nostro da sempre dipendenti dalle vendite in edicola e quindi con lettori meno abituati a pagare per abbonarsi all’informazione. Poiché però, alla fine, la monetizzazione è funzione della qualità del contenuto percepita da utenti e da investitori pubblicitari, non c’è dubbio che il giornalismo debba con forza ridefinire la nozione di “qualità” sui mezzi digitali, ad oggi troppo spesso utilizzati semplicemente come adattamento del prodotto “analogico”: basti pensare ai giornali resi pdf per i tablet o dei siti resi “più piccoli” per il mobile o, infine, alla mancanza di meccanismi di log-in per identificare i lettori. Oggi valorizzare la qualità sui mezzi digitali chiama invece una coraggiosa innovazione di linguaggi e formati — e quindi di prodotto – supportati dalla tecnologia”.
Per il momento risultati in tal senso non se ne vedono, non solo per quanto riguarda RCS. Vedere la luce è assolutamente possibile ma c’è davvero ancora tanto lavoro da fare per arrivarci a cominciare dal considerarsi delle imprese e strutturarsi adeguatamente rispetto agli obiettivi.