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I falò dell’autunno – Irène Némirovsky

Creato il 17 novembre 2014 da Ilariagoffredo

Un bel libro di Irène Némirovsky. Ho presentato l’autrice quando ho recensito Il ballo, potete leggere l’articolo qui.

 

I FALÒ DELL’AUTUNNO

Irène Némirovsky

Adelphi

 

faloautunno

Trama

“Vedi,” dice la nonna alla nipote, immaginando di prenderla per mano e condurla attraverso vasti campi in cui vengono bruciate le stoppie “sono i falò dell’autunno, che purificano la terra e la preparano per nuove sementi”. Ma Thérèse è giovane, non ha la saggezza della nonna: ancora non sa che prima di poter ritrovare Bernard, l’uomo che ama da sempre, a cui ha dedicato la vita intera, le toccherà attraversare con pena e con fatica quei vasti campi, e subire le dolorose devastazioni provocate da quegli incendi. Perché Bernard, l’adolescente intrepido, impaziente di dar prova del proprio coraggio, partito volontario nel 1914, è tornato dalla guerra cinico e disincantato: quattro anni al fronte l’hanno trasformato in uno sciacallo, uno che non crede più a niente, che aspira solo a diventare ricco, molto ricco – e che per farlo si rotolerà nel fango della Parigi cosmopolita del dopoguerra, in quella palude dove sguazza la canaglia dei politicanti, dei profittatori, degli speculatori. Alla dolce, alla fedele e innamorata Thérèse, e ai figli che ha avuto da lei, preferirà sempre il letto della sua amante e lo scintillio dei salotti parigini. Ci vorranno la fine delle grandiose illusioni della Belle Epoque, la rovina finanziaria, e poi un’altra guerra, la prigionia, la morte del primogenito, perché Bernard ritrovi la sua anima: la cenere degli anni perduti servirà a purificare il terreno per una vita diversa.

Recensione

Siamo a Parigi. La storia si muove tra il primo e il quarto decennio del Novecento, comprendendo gli anni di entrambe le guerre mondiali.

Conosciamo Thérèse, Martial, Bernard e Renée che sono ancora dei ragazzini; molto diversi tra loro per caratteri e aspirazioni, accomunati da sogni e speranze per il futuro. Un futuro che però viene loro strappato di mano dalla prima guerra mondiale. I due uomini si arruoleranno – ciascuno a suo modo e con un proprio diverso destino -, le due donne resteranno in Francia per ritagliarsi una vita secondo la propria indole. Ma la storia non si ferma qui, procede a salti temporali – a volte anche molto ampi, per esempio dieci anni – fino a quel futuro che diventa presente e che non è come ognuno di loro aveva progettato. Ci saranno intrighi, tradimenti, disperazione e morte.

Alcuni personaggi come per esempio Bernard, appaiono estremamente affascinanti, vivi, palpitanti nonostante in certi contesti giustamente criticabili. La protagonista femminile,Thérèse, alle volte mi è sembrata un po’ “spenta”, tuttavia fedele fino alla morte e anche oltre.

Certi passaggi, certe scene degli amori che si consumano durante la storia, in verità non appaiono affatto e ci si ritrova a immaginarli per dare un senso di maggior completezza al tutto. I pensieri dei personaggi assumono la forma di lunghi monologhi interiori tuttavia interessanti; alle volte si parla meglio di affari che di amore.

Durante il racconto di un periodo in un campo di concentramento nazista si parla dell’organizzazione di giochi e canzoni, della ricezione di pacchi di viveri ed effetti. Avendo conoscenze pregresse sulle politiche adottate nei campi nazisti, la cosa mi è parsa strana, così ho ricordato la biografia dell’autrice. La Némirovsky è stata internata ad Auschwitz nel luglio del 1942, per morirvi poi di tifo un mese dopo. Considerando le informazioni che giravano all’epoca sulle attività che si svolgevano nei campi di concentramento, è comprensibile che l’autrice descrivesse alcune cose per come le venivano riferite e non secondo la realtà dei fatti che ben conosciamo noi ora in tempi postumi.

Ebbene, il fatto che lei nutrisse in un certo senso una speranza sulla sorte degli internati nei campi è una cosa che mi ha profondamente colpita e amareggiata, dato che proprio lei ha finito appunto i suoi giorni ad Auschwitz.

Nell’opera appare evidente la sua vena pétainiste, con la quale viene specificato che i giovani dell’epoca hanno seminato male il loro campo.

Il titolo riconduce alla rigenerazione morale del Paese dopo l’incendio del 1940, ma anche alla prova più difficile – bruciante come il fuoco – per ogni coppia: il tradimento.

Lo stile dell’autrice è in un certo senso inquadrabile e assimilabile a quello di altre autrici della stessa epoca, il che non guasta, anzi dona a tutta l’opera quel senso di “realtà” profonda e vera di chi ha davvero vissuto quel periodo storico.

Le descrizioni dei viali parigini appaiono così vivide che bruciano davanti agli occhi, come pennellate su quadri appena dipinti, si “vedono”. Allo stesso modo ben raccontati sono i sentimenti rivolti alla guerra e al governo da parte di giovani illusi prima dalla gloria e poi dal denaro.

Molto brava, la Némirovsky merita tutta la gloria che la Shoah le ha negato.

Valutazione:

4


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