Non è facile inquadrare questo libro – ma, se non ho capito male, accade con tutte le opere di Aira – perché almeno per tutta la prima metà continua a scappare via. Sfiora personaggi e storie come una telecamera impazzita che gira intorno a un palazzo di lusso in costruzione a Buenos Aires: operai, bambini, futuri proprietari, artigiani, fantasmi – sì i classici fantasmi ti-vedo-non-ti-vedo, ma apparentemente più burloni – e gente che va al supermercato, tutti colti in una piccola occupazione e subito abbandonati. Poi, all’improvviso, si ferma su una famiglia, quella del guardiano del palazzo. Naturalmente, anche il fermarsi va preso un po’ con le pinze, come definizione, perché i personaggi in scena restano numerosissimi e si alternano continuamente con gli altri, per cui per veder emergere una storia ci vuole ancora un po’ di tempo. Infine, questa storia arriva e sì, ha pure a che fare con i fantasmi del titolo, anche se in una maniera molto intima, molto emotiva, a dispetto degli inizi. E comunque, anche questa, non è abbastanza per tenere insieme il romanzo, che alla fine trova la sua ragion d’essere nelle micro-storie che si accumulano e nello stile variabile che di volta in volta Aira trova adatto per raccontarle, giocando con i generi e passando con facilità da situazioni divertenti a momenti di intima concentrazione, o dal saggio alla gag. Funziona? Mi vien da dire di no, e lo faccio con grande fatica perché il mio pregiudizio positivo sugli scrittori sudamericani – e sull’editore Sur – è forse noto, ma in fondo mi pare che resti soltanto un grande sfoggio di maestria. Oppure un ricchissimo buffet, che ha i suoi pregi – e i suoi ammiratori – ma io non scambierei mai con il piacere di sedermi a tavola e ordinare alla carta pochi piatti ben preparati.
I fantasmi, César Aira (Sur, 142 pp, 15 €)