Se di notte, in un posto sperduto, in un deserto vi imbatteste in un rottame che molto tempo prima era stata una splendida Jaguar E Type, sicuramente lo scambiereste per un mostro, un enorme insetto, un alieno. E’ questo il fantastico colpo d’occhio di Troy Paiva su un mondo di oscurità e sui fantasmi, gli ectoplasmi che in esso si nascondono per materializzarsi all’improvviso in una lama di luce colorata.
E’ dagli anni ’70 che Troy si aggira per i deserti della California e del Nevada e le loro città fantasma, i depositi di rottami, le stazioni di servizio abbandonate per cogliere i suoi soggetti con una tecnica tutta particolare e tutta personale che ne ha fatto uno dei pionieri della fotografia notturna. Un mix accurato di luce naturale (generalmente quella della Luna) , di luce artificiale scaturita da flash stroboscopici , da luci teatrali con filtri colorati in gelatina e tempi d’esposizione lunghissimi fanno di ogni sua immagine la visione su un universo parallelo dove ciò che è familiare e normale diventa stravolto, contorto e mostruoso. Ha ragione chi ha detto che “Se Stephen King facesse fotografie si chiamerebbe Troy Paiva”.
Non a caso parecchie sue fotografie sono state utilizzate per illustrare le copertine del celebre scrittore horror.
Citazioni quindi da “Christine la macchina infernale” dello stesso King ed in versione cinematografica con la direzione di John Carpenter, “Psycho” di Hitchcock, B movie di fantascienza degli anni ’50 e ’60 , “ La notte dei morti viventi” di Romero e sguardi su un mondo post apocalittico , costituiscono il “pastiche” che ci restituisce il brivido della percezione di una realtà non morta ma nemmeno viva.
Scherzando sulla sua visione del modo e sulla sua fotografia che lo ritrae, Troy Paiva dice:”... there is potential danger at every site, including poisonous insects and drunken teenagers” e quando sorride, sorride anche un po’ di noi e delle nostre paure.